martedì 21 giugno 2011

Rosell avverte l'Arsenal: "Non pagheremo 40 milioni per Fabregas!". Guardiola vuole lo spagnolo ma le pretese dei Gunners...

Il Barcellona vuole Fabregas e Fabregas vuole il Barcellona. C'è di mezzo però l'Arsenal, attuale club del centrocampista spagnolo, che non ha intenzione di dar via il suo gioiello per pochi soldi. Anzi, i Gunners chiedono almeno 40 milioni di euro. Una cifra giudicata eccessiva da Sandro Rosell, presidente dei blaugrana. Fabregas, ha spiegato Rosell alla televisione catalana TV3, "ha molta voglia" di tornare al club in cui ha iniziato la carriera professionistica. Il tecnico Pep Guardiola "è consapevole che ogni giocatore ha un proprio valore di mercato, e Cesc è valutato meno di 40 milioni. Noi non pagheremo quella cifra e se l’Arsenal non accetterà, Fabregas non arriverà", ha annunciato il n.1 del Barça. Il centrocampista è anche il sogno proibito di Milan ed Inter ma è chiaro che a certe cifre sarà davvero difficile trattare. Lo stesso Fabregas spinge per tornare in Catalogna ma, al momento, sembra molto improbabile che venga accontentato...

domenica 19 giugno 2011

Quel minuto che fece la storia..


A volte mi sono fatto (ovviamente da solo…chi vuoi che mi faccia una domanda simile fra amici e parenti?) a bruciapelo questa domanda: quali sono i tre momenti che ti hanno fatto innamorare del calcio inglese? Come per una storia d’amore, ricordare i brividi e le emozioni degli inizi è un tributo alla nostalgia che ogni tanto bisogna pagare…e ogni volta, prima di rispondere, parto per un viaggio nella memoria, fra momenti ‘vissuti’ e altri solo ‘tramandati’ da libri, video, programmi…la ‘classifica’ finale risente degli umori del momento, ma la hit che non manca mai è ‘quel’ minuto di Anfield Road, quando l’Arsenal conquistò il titolo all’ultimo respiro dell’ultima partita di campionato, strappandolo dal petto dei Reds che già lo celebravano cullati dalla Kop e dal suo ‘You’ll never walk alone’ da brividi…me lo ricordo bene quel dolcissimo pomeriggio di tarda primavera, con la scuola ormai agli sgoccioli e le ore divise fra lunghe maratone di sport in tv e interminabili partite di calcio o tennis…quel 26 maggio 1989, però, non c’erano stati svaghi…il perché lo capivo solo io, ma fra l’incredulità dei miei amici mi chiamai fuori perché ‘c’era la partita’…’ma quale partita?’, chiedevano increduli…era venerdì, quindi niente serie A né coppe europee…alzata di spalle, sorriso di ‘compassione’ e poi via a riprendere il ‘calcio giocato’…più o meno la stessa sospettosa diffidenza con cui i miei mi vedevano armeggiare con l’antenna TV per essere sicuro di sintonizzare in maniera decente TMC…eppure era dal 1952 che un titolo inglese non si assegnava nello scontro diretto all’ultima giornata (allora l’Arsenal ne prese sei (a uno) dallo United, un precedente non proprio incoraggiante per i Gunners)…ma la ‘relatività’ l’avrei metabolizzata solo anni dopo, in quel momento la loro indifferenza mi sembrava folle almeno quanto a loro la mia tensione…una tensione che sul piano calcistico trovo peraltro assolutamente giustificata ancora oggi…si arrivava da una stagione straordinaria in tutti i sensi…la mia Inter aveva appena vinto lo ‘scudetto dei record’ (ahimè anche l’ultimo da allora…), un mese prima c’era stato Hillsborough…momenti ugualmente indimenticabili, per ragioni opposte, che sembravano trovare la loro composizione nell’ultimo atto che si andava preparando ad Anfield Road…tardi, rispetto al calendario inglese, proprio a causa dello stop decretato per onorare le vittime dell’assurda tragedia di Sheffield e cercare di capire ancora una volta come si possa morire per una partita di calcio…nel frattempo il Liverpool aveva onorato a modo suo la memoria dei suoi tifosi, vincendo la FA Cup a spese dell’Everton e continuando l’incredibile striscia positiva di 23 partite senza sconfitta (20 vittorie e 3 pareggi) a partire da Capodanno…una forma che aveva permesso ai Reds di rimontare ben 14 punti di distacco nel giro di tre mesi e prendersi la testa della classifica…a questo punto, dopo aver demolito per 5-1 il West Ham nell’ultimo recupero, il Liverpool aveva tre punti di vantaggio sui Gunners ed una migliore differenza-reti…la squadra di George Graham avrebbe dovuto vincere con almeno due gol di scarto, cosa che nelle ultime quattro stagioni era successa ad Anfield solo una volta (per mano dell’Everton)…peraltro l’Arsenal era in piena crisi, dopo aver dilapidato un vantaggio che in primavera pareva rassicurante e aver fatto solo un punto nelle ultime due gare casalinghe contro Derby (1-2) e Wimbledon (2-2, e pensare che alla prima giornata i Gunners avevano demolito per 5-1 la Crazy Gang fresca vincitrice della FA Cup…)…la stampa non attribuiva alcun credito alle speranze dei londinesi, e per molti il Double sarebbe stato quasi un ‘risarcimento’ alla memoria delle vittime di Hillsborough…in giro c’era quasi ‘simpatia’ per il Liverpool, un po’ come nel 1953 tutti tifavano Blackpool nella finale di FA Cup, spingendo Matthews verso quella medaglia che pareva inafferrabile…provano a pensarla diversamente i Gunners, e O’Leary dichiara: ‘i miracoli accadono. Una cosa è certa, daremo tutto per rendere loro la vita difficile’…già, un miracolo calcistico è proprio quello che ci vorrebbe…eppure i precedenti stagionali sarebbero anche incoraggianti…in Coppa l’Arsenal si è piegato solo al 2° replay, mentre in campionato è finita 1-1…nel frattempo però sono cambiate molte cose, e le due squadre hanno condizione e morale diametralmente opposti…finalmente ci siamo, Caputi e Bulgarelli da Anfield Road (o almeno così credevo ai tempi…) leggono e commentano le formazioni, inquadrano la gara e cercano di riportare l’atmosfera a dir poco elettrica che rimbalza da Liverpool…ma proprio quando ripenso al contrasto fra l’adrenalina che colava dal piccolo schermo e l’indifferenza del mio ambiente domestico mi abbatto un po’…sarebbe stato bello respirare la stessa attesa anche da questa parte del video, commentare le possibilità dei Gunners e le scelte tattiche di Graham, i titoli dei giornali e l’esodo speranzoso dei tanti partiti in mattinata da Islington alla volta di Anfield…sarebbe stato bello insomma vederla con un appassionato, magari un tifoso…tipo Nick Hornby, per esempio, uno che sulla sua ossessione per l’Arsenal ha scritto addirittura un libro, Fever Pitch…un libro meraviglioso, in cui qualifica questa serata come ‘il più grande momento in assoluto’…ne fa un racconto emozionato e coinvolgente…come piacerebbe a me, che mi abbandono alla fantasia e mi vedo seduto di fianco a lui, teso ma disincantato, in attesa del fischio d’inizio…
Io: ‘allora Nick, come hai passato la giornata?’ gli chiedo fra l’ironico e il provocatorio.
Lui: ‘la verità? stamattina sono andato ad Highbury a comprare questa maglia nuova, così tanto per fare qualcosa…capisco che indossarla davanti al televisore non aiuterà molto i ragazzi, ma almeno mi ha fatto sentire meglio…a mezzogiorno, intorno ad highbury c’erano già decine di pullman e macchine, e tornando a casa ne ho incrociati parecchi assurdamente ottimisti…sono stato male per loro, davvero…erano solo uomini e donne che andavano ad Anfield a perdere al massimo un campionato, ma a me sembravano soldati in partenza per una guerra senza ritorno…’
Io: ‘insomma non ci credi proprio…però hai comprato una maglia nuova per l’occasione…’ lo martello adocchiando la replica shirt nuova di zecca.
Lui: ‘Che vuoi che ti dica, dopo tanti anni ho smesso di crederci davvero…Dal 1971 non siamo mai stati davvero in corsa per il titolo, anche se un paio di anni fa restammo in testa per qualche giornata…in questi anni ho visto decine di partite, moltissime di campionato, e quasi tutte senza alcun risvolto di classifica…è chiaro che alla fine ti abitui, e anche se un tifoso dovrebbe sempre covare l’illusione della vittoria, io avevo ormai abdicato ogni speranza di lottare per il titolo…quest’anno, poi…con una squadra così giovane, l’unico innesto di Steve Bould dallo Stoke e i bookmakers che in estate ci pagavano 16-1 per la vittoria finale, non avrei mai pensato di dover tornare a soffrire così per un campionato prima sfiorato e poi regalato per così poco…’
Io: ‘Quest’anno solare però lo avete iniziato in testa e ci siete rimasti quasi fino a oggi, quindi un po’ ti sarai fatto coinvolgere…’.
Lui: ‘Un po’? Faccio fatica ad ammetterlo anche a me stesso, ma dentro ho un vulcano in eruzione…anche se non è così dall’inizio…ricordi la prima di campionato, in casa del Wimbledon? Fashanu in gol dopo sette minuti…non proprio l’inizio che ogni tifoso sogna…poi per fortuna il loro portiere finì dentro la porta con un pallone innocuo fra le braccia e ci regalò il pareggio…poi si scatenò Alan Smith e finì 5-1 per noi…alla fine quasi non capivo cosa fosse successo…’
Mi faccio trasportare nel ‘film’ della stagione che si conclude stasera e lo stimolo sui momenti salienti: ‘Rimonta-episodi fortunati-Alan Smith…tre costanti di tutta la stagione’
Lui: ‘Già, hai proprio ragione…Alan è stato straordinario, secondo me il migliore e spesso decisivo…di testa le ha prese tutte, ma ha inventato anche di piede alcuni gol fra il memorabile e il fortunato’. Io, che non voglio perdere l’occasione di poter finalmente parlare con qualcuno che mi capisca: ‘Tipo il pareggio a Nottingham, quando Lukic aveva regalato il pallone dell’1-0 a Clough e lui indovinò un lob dal limite dell’area mettendo il piede in una mischia selvaggia…’
Lui: ‘Giusto, vedo che il campionato l’hai seguito…comunque di gol così ne ha fatti tanti, dei 22 totali segnati fino a stasera molti sono stati cruciali…tipo il pareggio di testa in pieno recupero contro il Southampton, dopo essere stati sotto 2-0 a sette minuti dal termine, oppure quello di testa al Villa Park, saltando più in alto del portiere in uscita…in quella partita Smith fu gigantesco, completando l’opera con un’altra torre da cui scaturì il 2-0 finale sul Villa’.
Io: ‘E pensare che proprio il Villa nella gara d’andata aveva freddato gli entusiasmi del dopo-Wimbledon…’
Lui: ‘Già, quella sconfitta alla 2° di campionato, in casa, ci fece tornare subito sulla terra…per fortuna i ragazzi risposero subito alla grandissima nel derby con gli Spurs…’
Io: ‘Quella fu mitica, una delle migliori partite dell’anno…l’esordio assoluto di Gazza con la maglia degli Spurs, in casa, nel derby…le aspettative erano altissime, poi Winterburn inventò quel gol d’esterno dal limite dell’area e gelò White Hart Lane…’
Lui, rapito dal ricordo estatico di quel giorno: ‘…loro pareggiarono, ma era il nostro giorno…alla fine celebrammo il 3-2 cantando a squarciagola sulle nostre tribune, urlando ancor più forte quanto più le loro facce intorno erano scure…’
Io: ‘La rincorsa vera partì proprio da quel giorno…nonostante la sconfitta per 2-1 contro lo Sheffield Wednesday qualche settimana dopo, fino a febbraio fu un crescendo irresistibile…’
Lui: ‘Infatti fu allora che cominciai timidamente a crederci…vincemmo ad Upton Park, in casa del QPR rimontando da 0-1 a 2-1 nei minuti finali, a Coventry, a Goodison Park con l’Everton, dove uscimmo addirittura fra gli applausi…’
Io: ‘Nel frattempo ci fu anche l’andata con il Liverpool, ad Highbury, altra rimonta…’
Lui: ‘Era inizio dicembre, noi inseguivamo il Norwich capolista ed avevamo da affrontare di seguito Liverpool, Norwich e Manchester United…con i Reds fu soffertissimo…ad inizio ripresa Barnes segnò per loro…lo fece dopo uno slalom fantastico, eppure a vederlo da fermo in quei giorni pareva addirittura soprappeso…per fortuna ci pensò ancora Smith a rimettere le cose a posto, ma nel finale Barnes colpì una traversa clamorosa su punizione e poi Aldridge sbagliò un gol di testa da solo davanti a Lukic…che sospiro di sollievo, se oggi siamo ancora in corsa lo dobbiamo anche a quella partita…’
Io: ‘Però non vi è andato sempre tutto per il verso giusto…dopo l’1-1 con il Liverpool giocaste in casa della capolista Norwich e finì 0-0 dopo che l’arbitro vi fece ripetere un rigore che Marwood aveva segnato al primo tentativo…’
Lui: ‘…e che poi al secondo sbagliò…certo, qualche beffa l’abbiamo incassata anche noi…all’Old Trafford, per esempio, Adams ci portò in vantaggio, sembrava tutto fantastico, poi a una manciata di minuti dal termine sempre lui realizzò un autogol che deve aver fatto ridere tutta l’Inghilterra, noi esclusi…’
Io: ‘A quel punto eravate stati in testa per quattro mesi ma il Liverpool vi agganciò proprio quel giorno…’
Lui: ‘Precisamente…conquistammo la vetta a fine anno, dopo il successo al Villa Park, e la celebrammo nel derby di ritorno con gli Spurs…si giocò nel giorno in cui fu scoperto il nuovo orologio nella Clock End…altra giornata da ricordare, con un Merson sontuoso che realizzò l’1-0 e poi giocò un contropiede fantastico prima di servire a Thomas la palla del raddoppio…in quel momento eravamo inarrestabili…il 18 febbraio avevamo 15 punti in più del liverpool, anche se con una gara in più…15 punti, capisci?’
Io: ‘Mi ricordo bene, i Reds erano completamente fuori dai giochi, al 6° posto…e nonostante la prima mini-crisi di febbraio, dove vinceste solo 2 partite su 5 (di cui 4 in casa), i bookmakers vi davano quasi alla pari per il titolo, con il Liverpool (nel frattempo risalito a –8) pagato 16-1’.
Lui: ‘E’ lì che abbiamo cominciato a dilapidare tutto…a fine marzo andammo a vincere 3-1 a Southampton…di quel giorno mi ricordo soprattutto lo slalom fantastico di Rocastle per il 3-1 e le urla razziste dei tifosi di casa all’indirizzo dei nostri giocatori di colore…purtroppo fu una ‘sveglia’ breve, perché due settimane dopo i Reds ci affiancarono in testa…e da allora ce la giochiamo testa a testa…’
Una volta rotti gli argini, mentre giungono le prime immagini da Anfield, spostiamo l’attenzione sulle formazioni, in quel momento in sovrimpressione.
Io: ‘Graham insiste anche stasera sulla difesa a 3…va bene che ha tenuto in piedi la baracca negli ultimi due mesi, ma non è un po’ troppo difensiva visto che si deve vincere con due gol di scarto?’ Lui: ‘Credo che voglia sfruttare al massimo la nostra arma numero 1, i colpi di testa…con Adams, Bould e O’Leary contemporaneamente in campo e Smith davanti, quelli del Liverpool non la prenderanno mai…almeno spero che il motivo sia questo, e non la voglia di finire ‘con onore’ magari uscendo imbattuti da Anfield…’
La formazione del Liverpool è impressionante…in campo Nicol, Hansen, McMahon, Whelan, Barnes, Aldridge, Rush…in panchina addirittura il lusso di Peter Beardsley…mentre la leggo mi lascio sfuggire un’occhiata di ‘compassione’ verso Nick…ci vorrebbe davvero un miracolo…anche perché l’ambiente è assolutamente ‘aggressivo’…la Kop canta altissimo, sembra un urlo di battaglia che ti fa tremare dentro…Dalglish si guarda intorno come spesso fa, e sorride…sembra sicuro, e d’altra parte come potrebbe non esserlo, con 40.000 scatenati tifosi a sostenerne l’ultimo sforzo?
Si parte, la prima palla è dell’Arsenal, in una non indimenticabile divisa giallo-nera da trasferta…il contrasto con il rosso fuoco del Liverpool è quasi presagio di quello che sembra prospettarsi sul campo…la prima vera occasione è però dell’Arsenal, con Bould che a Grobbelaar battuto si vede respinto sulla linea il colpo di testa…è però l’unica vera fiammata del primo tempo, i padroni di casa provano qualche tiro da fuori ma Lukic è attento…la tensione è alta, la posta altissima, ma è chiaro che il passare dei minuti giova solo al Liverpool.
Nell’intervallo Nick è ancora più sconsolato di prima: ‘Dai Nick, lo ha detto anche Graham che lo 0-0 all’intervallo non sarebbe stato catastrofico…ci vuole un episodio, e tutto si riapre…anche loro sono uomini e sentono la tensione…’
Lui annuisce ma non ci crede…poi si riparte e l’adrenalina può scaricarsi sul campo…al minuto 52 Rocastle finisce a terra nei pressi del vertice sinistro dell’area del Liverpool…si accende quasi una mischia con Whelan che ha commesso il fallo, poi finalmente Winterburn può battere…è un attimo, la difesa si ferma e Smith è fulmineo nell’avventarsi sulla palla e sfiorarla quel tanto che basta a ingannare Grobbelaar…il tocco è così leggero che i Reds protestano con l’arbitro perché il calcio di punizione era di seconda e ritengono non l’abbia toccato nessuno…l’arbitro si consulta con il guardalinee mentre milioni di persone trattengono il fiato davanti alla TV, noi inclusi…poi punta il dito verso la metà campo e convalida…1-0, i fedelissimi giunti da Londra, stretti in un angolo dietro la porta del Liverpool fanno festa e cominciano a sperare…e anche Nick si scioglie un po’, in fondo ora serve solo un gol, e il Liverpool non sembra in grandissima serata…Ablett salva due attacchi dell’Arsenal, ma è al minuto 73 che il destino sembra compiersi…Richardson riesce a toccare verso lo smarcatissimo Michael Thomas in piena area…Thomas si gira, deve superare solo il portiere ma gli tira addosso, e tutto sembra finito…i minuti passano veloci, Nick sembra aver ‘esalato’ l’ultimo respiro di speranza sul tiro di Thomas, e così i giocatori in campo…il Liverpool cresce, quasi sollevato dall’occasione clamorosa buttata al vento dai Gunners…a un certo punto compare nell’angolo della TV perfino l’orologio, a rincarare la sofferenza di chi è davanti al video…segna 88.00, proprio mentre Beardsley si invola solo in contropiede…sembra la conclusione perfetta, la palla arriva a Aldridge che però incespica, si incarta e sciupa tutto…nell’azione è rimasto a terra a metà campo Richardson, valoroso centrocampista dell’Arsenal…i secondi scorrono mentre gli si prestano le cure…cono minuti interminabili, tutto sembra sospeso come in un fotogramma…Nick è pietrificato, mormora quasi fra se e sé ‘Buttarlo via così, incredibile…’
Io: ‘Hai ragione, se finisse così sarebbe davvero una beffa…per un gol, credo non sia mai successo…’
Lui, mentre i secondi passano e Richardson non accenna a rialzarsi: ‘Non è questione di un gol…anche dopo esserci fatti riprendere ad aprile, dopo la pausa per Hillsborough, abbiamo battuto il Norwich, era di nuovo tutto in mano nostra…poi quelle due maledette partite in casa…’
Io: ‘Derby e Wimbledon…hai ragione, un solo punto in quelle due gare è stata la fine…soprattutto il 2-2 con il Wimbledon…’
Lui: ‘Come si fa a farsi riprendere due volte, in casa, da una squadra che all’andata avevamo demolito? Winterburn aveva inventato un altro super-gol, Merson ci aveva riportato avanti dopo il pareggio di Cork…e poi, quell’esordiente, McGee, con quel tiro assurdo che non ripeterà mai più…’ conclude quasi disperato mentre Richardson finalmente si rialza.
La telecamera si sposta sui protagonisti…Dalglish è tirato ma misurato, Graham continua ad urlare suggerimenti, come se fosse ancora tutto in ballo…Barnes incita i suoi, McMahon urla che manca un minuto, uno solo…l’orologio supera i 90.45, poi scompare…ormai solo sgoccioli, la palla torna verso la porta di Lukic, è proprio un contrasto di Richardson a recuperarla…il portiere allunga a Dixon, che lancia lungo su Alan Smith…per la millesima volta in stagione il bomber dei Gunners vince il contrasto, difende la palla e poi la tocca…un tocco magico, verso il centro, dove arriva Thomas…ancora lui, che aveva sbagliato l’occasionissima qualche minuto prima…il centrocampista dei Gunners cerca di superare Nicol, tocca male ma la palla incoccia lo stinco del difensore e gli torna davanti…ora Thomas è solo, in un attimo che sembra durare un secolo si invola verso Grobbelaar, aspetta la mossa del portiere e finalmente piazza il destro alle sue spalle, in fondo alla rete, per l’incredibile 2-0…a quel punto succede di tutto, le capriole ‘elettriche’ di Thomas mentre i compagni lo raggiungono le avremmo viste solo dopo, in quel momento è come essere in un’altra dimensione, senza tempo né gravità…saltiamo tutti, increduli ma come alleggeriti d’improvviso di tutto il peso di otto mesi di passione, fatica, illusione…la partita riprende, ma non c’è più tempo, l’arbitro fischia e lo spicchio di Anfield che ospita i tifosi Gunners esplode senza argini in una felicità irripetibile…dietro la porta di Lukic qualcuno dalla Kop si sente male, viene trasportato fuori a braccia…ma vincono anche loro, che dopo qualche istante di sbigottimento per un titolo perso all’ultimo minuto dell’ultima partita intonano il più bel ‘You’ll never walk alone’ mai sentito…il coronamento più toccante ad una giornata irripetibile, mentre le telecamere fissano per sempre la disperazione di Dalglish e dei suoi, Adams che va da Aldridge ad accarezzargli i capelli (avremmo scoperto dopo che era solo una presa in giro per contrappasso a quanto Aldridge aveva fatto con Steve Chettle del Forest dopo il suo autogol nella semifinale di FA Cup…), Graham che chiama i suoi a raccolta, e infine il capitano che alza la Coppa ad Anfield…e Nick? Lui tutto questo non l’ha visto, al fischio finale si è fiondato fuori in strada gridando a piena voce, alla ricerca di una bottiglia di spumante con cui festeggiare…o forse sono io che mi sono svegliato dal mio ‘sogno’, ritrovandomi solo nella mia casa a metabolizzare l’emozione di una serata di sport che nessuna fantasia avrebbe potuto partorire…anche se non ero ad Anfield, infatti, né a Londra a guardare la partita con Nick Hornby, questa partita non la dimenticherò tanto facilmente, anche perché nulla di quello che è seguito (calcisticamente) negli anni mi ha regalato brividi così forti.
di Giacomo Mallano, da UKFP n° 8 - settembre 2004

sabato 18 giugno 2011

Le grandi emozioni del calcio inglese: season 1988/89

La stagione calcistica 1988/89 rimarrà per molto tempo scolpita nella memoria di tanti appassionati di calcio. Probabilmente le emozioni legate anche a episodi tragici vissute in quell’anno hanno determinato parecchi punti di svolta nel calcio britannico. La squalifica delle squadre inglesi era ancora vigente, e l’Europa non poteva annoverare nel tabellone delle sue competizioni quella che probabilmente era la squadra pìù forte (forse assieme al Milan), ovvero il Liverpool. Quella squadra attraverso i vari Grobelaar, Whelan, Houghton, Barnes, Aldrige, Nicol ed altri continuava in patria le gesta di un Club che vinse dall’inizio degli anni 80, 2 coppe campioni e 6 campionati di cui l’ultimo nella stagione 87/88. La nazionale è reduce da un campionato Europeo, giocato in terra tedesca, allucinante, venendo eliminata al primo turno. Nel 1988 era definitivamente tramontata la stella dell’Everton (campione d’Inghilterra nelle stagioni 84/85 e 86/87, e coppa delle coppe 1984/85), era lontano a nascere il Man Utd mentre il Chelsea militava in Second Division così come il Leeds United. Nella stagione 1988/89 non si usava portare in panchina il secondo portiere e le rose prevedevano in panchina solo due giocatori per parte. In quell’anno un tifoso poi divenuto celebre, continuava a tormentarsi e a tifare Arsenal. Purtroppo le barriere che ora non dividono più le tribune dal campo, in quegli anni e in diversi stadi ammonivano sinistri presagi. Il campionato parte ed i Reds appaiono di gran lunga la squadra favorita, anche se la testa della classifica vede primeggiare anche altre squadre tra cui per diverse giornate i canaries del Norwich City. Si disputano ottime partite. Gli appassionati italiani hanno la possibilità di seguire il campionato in Tv, Tmc possiede i diritti sia della Big League che della Fa Cup e trasmette diversi incontri in diretta. Ricordo un vibrante Merseyside Derby giocato al Goodison Park (1-1), un’avvincente Tottenham Liverpool giocata il Lunedì di Pasqua (1-2). L’ Fa Cup con il suo carico di storia regala al terzo turno l’avvincente vittoria del Sutton Utd ai danni del Coventry City detentore della coppa. Il Sutton Utd militava nella Vauxhall Conference, ovvero il nostro interregionale. Militano invece in Big League squadre ora relegate nei meandri delle serie inferiori, Clubs che da allora ad oggi sono morti e rinati più volte, alcuni nomi su tutti Newcstle Utd, QPR, Luton Town, Milwall, Nottm Forest ed altri ancora. Il livello generale del gioco purtroppo denota l’assenza di un valido confronto con il calcio del resto d’Europa dovuto come già detto alla squalifica del dopo Heysel, ma è comunque vero football made in Uk. Il 15 aprile 1989, alle spalle di Grobbelaar all’Hillsbrough di Sheffield durante la semifinale di Fa Cup tra Liverpool e Nottingham Forest si compie la tragedia. Vengono aperte le porte di una tribuna a gente sprovvista di biglietti e moltissime persone rimangono schiacciate contro le ringhiere che separano le gradinate dal campo. Persero la vita quasi 100 persone. Mai come in quel periodo il “You’ll never walk alone” fu l’inno del Liverpool. Ora, purtroppo anche i Reds sono colpiti nella storia da una tragedia. I fiori sotto la Kop resteranno a lungo l’immagine di un ricordo indelebile che tanta gente ha saputo tributare alle vittime. La semifinale si rigioca il Liverpool travolge gli arceri di Clough e approda alla finale. Il traguardo da raggiungere rappresenta un tributo nei confronti delle vittime. La finale di Wembley è in realtà un Merseyside derby, infatti a contendere la coppa del torneo più vecchio del mondo è l’ Everton. Finisce spettacolarmente 3-2 ed il Liverpool alza al cielo la coppa con tutto il suo significato. Spariranno le barriere, sparirà la Kop, non ci sarà più il fiume giallo, non si vedrà più lo spettacolare avanzare verso il campo di un’onda di gente accalcata su se stessa. L’Arsenal è un po meno Boring Arsenal e fino alla fine tiene testa al Liverpool e nonostante passi fassi casalinghi a poche giornate dal termine, il 26 maggio 1989 deve scendere in campo ad Anfield Road e vincere per 2-0 per raggiungere in testa alla classifica i Reds e vincere il titolo grazie alla differenza reti. Quello che si compie quella notte ad Anfield, tutto è fuorchè logica. Solo un film può raccontare emozioni che sembrano impossibili da vivere. In realtà la stagione calcistica 1988/89 è un film emozionante, un grande film. Il Liverpool stanco del fine stagione è comunque una squadra che entusiasma per il gioco proposto. Ma il Liverpool del 26 maggio 1989 è stanco, si vede, l’Arsenal vince. 2-0. Al 90’. E’ Thomas a segnare il 2-0, diventerà The History Man. Sparirà il Boring Arsenal. Per me invece Liverpool vs Arsenal 0-2 è semplicemente The History Match, e ricorderò per sempre l’immagine in Tv di un Kenny Dalglish impietrito a fissare l’infinito. La passione per il calcio inglese passa in secondo piano quando ancora oggi mi chiedo quanti tra i milioni di tifosi del calcio conoscano l’epilogo della Big League 1988/89. Credo che chi quella sera abbia assistito in Tv a quei momenti irripetibili, non possa nascondere l’estasi di quell’atmosfera che solo il calcio inglese può trasmettere. Nick Hornby, il tifoso che prima si tormentava scriverà un libro che poi diventerà anche un film sulla magia di quell’evento. Penso
concludendo, che la stagione 1988/89 rappresenti un punto di svolta per tanti aspetti oltre a quelli descritti. Le stagioni che seguiranno segnano infatti l’esplosione per l’attenzione rivolta al campionato inglese dalle Televisioni di tutto il mondo. Di lì a poco in Italia il Campionato Inglese si potrà gustare solo pagando, le partite del Tottenham sono proposte a ripetizione perché tra le sue fila un giovane emergente è conteso da mezza europa mentre in patria viene bersagliato dalle tavolette di cioccolato. Il 27 maggio 1989 la nazionale inglese batte la Scozia per 2 reti a zero a Glasgow. Per problemi di ordine pubblico sarà l’ultima delle sfide annuali che si disputano ininterrotamente dal 1872. Sparirà a breve anche la Big League o First Division, come dir si voglia, e nascerà la Premier League. Continueranno le emozioni !!!
di Michele Vello da UKFP n° 1 - dicembre 2002

venerdì 17 giugno 2011

Viviano offerto all'Arsenal. Per l'attacco spunta Defoe

Il Mirror ipotizza il passaggio dal Bologna alla squadra di Wenger dell'estremo difensore rossoblù. In lizza anche Craig Gordon del Sunderland che il tecnico francese ritiene da subito pronto per la Premier. L'ultimo nome per l'attacco dei "gunners", invece, è Jermain Defoe sempre più in rotta con il Tottenham.
Alla ricerca di un portiere, l'Arsenal ha ricevuto l'offerta dal Bologna per Emiliano Viviano. Secondo il Times però Arsene Wenger preferirebbe ingaggiare un estremo difensore che abbia già esperienza in Premier League, da qui la preferenza per Craig Gordon del Sunderland. Per l'attacco dei Gunners, viceversa, l'ultimo nome è - secondo il Mirror - Jermain Defoe, sempre più in rotta con il Tottenham

Nomi, nomi... e nulla più, di certo questa mattina usciranno i fixtures e sapremo più o meno con precisione le date e le partite della prossima stagione. Viviano mi sembra un gran bel portiere e non mi dispiacerebbe, lo ritengo migliore di Gordon che non garantisce continuità, per quanto riguarda Dafoe.. peccato che è uno spoors..

giovedì 16 giugno 2011

Bendtner: "Io, Fabregas e Nasri lasceremo l'Arsenal"

In casa Arsenal si smobilita. Non che questo sia nelle intenzione del club e del manager Arsene Wenger, ma è ormai molto probabile che tutti o quasi i grossi calibri dei Gunners troveranno un’altra sistemazione nel corso di questa lunga estate di mercato. Ne è convinto Nicklas Bendtner, punta classe ’88 in forza all’Arsenal dal 2005/2006, con una parentesi al Birmingham City nel 2006/2007: “Io, Cesc e Samir lasceremo l’Arsenal “, ha confessato il danese. Per i tre fuoriclasse, ovviamente, le proposte non mancano e tutti e tre sono stati accostati, in un passato più o meno recente, con maggiore o minore insistenza, ai colori rossoneri.

martedì 14 giugno 2011

Gazidis: “Ci saranno movimenti in entrata”

Ivan Gazidis, uno dei maggiori azionisti dell’Arsenal, ha rilasciato alcune dichiarazioni riguardanti gli obiettivi per la sessione di calciomercato durante l’incontro con i tifosi di lunedì sera. Queste alcune delle battute messe in evidenza dal sito web ufficiale dei Gunners: “Veniamo da una stagione terminata in maniera deludente. C’erano grandi premesse e sembrava che potesse arrivare un trofeo, ma alla fine è tutto terminato come le ultime volte. Capisco le sensazioni che sono state provate. E’ chiaro che c’è stata qualche lacuna e proveremo a colmarla durante il mercato. Arriveranno nuovi giocatori ed alcuni calciatori presenti saranno ceduti. Come ha detto Arsène, sarà una sessione molto impegnativa per il club. E’ importante però riconoscere che non si tratta di una stagione disastrosa. Abbiamo una squadra giovane e non vogliamo disfare tutto con facilità. Dobbiamo identificare quali sono i settori da rinforzare e quali quelli da mantenere come sono”.

Chapman, tutta colpa del Sistema

Un solo uomo al comando: primo in tutto, migliore di tutti. Ecco che cosa è stato, per i suoi club e per il calcio, il “controriformista” Chapman.Quinto dei sette figli del minatore John e della casalinga Emma, Herbert nasce il 19 gennaio 1878 nel sud dello Yorkshire (Inghilterra), al numero 17 di Kiveton Wales, frazione di Kiveton Park, piccolo centro minerario tra Sheffield e Worksop. Il padre, analfabeta, lavora nelle immaginabili condizioni figlie dell’epoca vittoriana. Come per il resto della comunità locale, il destino di Herbert sarebbe quello del genitore, e cioè a estrarre carbone, se non fosse che nel 1870 era stato promulgato l’Elementary Education Act, svolta storica per introdurre in Inghilterra e nel Galles l’istruzione elementare obbligatoria.Per abolire le lingue celtiche (gallese, irlandese e scozzese), lo Stato si assumeva per la prima volta la responsabilità nell’istruzione di tutti i bambini, così, compiuti i cinque anni, anche un figlio della “working class” come Herbert può andare a scuola. Un passaggio fondamentale che ne contiene un altro: là può praticare gli sport (è il caso di dirlo) più popolari: il calcio d’inverno e il cricket d’estate.L’attitudine al comando ne fa a undici anni il capitano e il segretario della squadretta di calcio, e insieme con i fratelli entra nella formazione juniores del paese. Ma al momento di guadagnarsi da vivere, scriverà giocando con le parole il suo più attento biografo, Stephen Studd, era il «coal (carbone) e non il goal» a dettar legge, altro che l’Education Act. Finita la scuola, comincia l’apprendistato in una “colliery” (miniera di carbon fossile), ma in seguito all’Education Act, in tutto il Paese si aprono corsi di formazione e Herbert segue quello di ingegneria mineraria allo Sheffield Technical College.Intanto porta avanti la sua passione per il pallone, amore condiviso con il più talentuoso fratello minore (di un anno) Harry, anche lui futuro professionista. Herb la consuma da modesta mezzala destra in club di Sheffield e dintorni, sempre a livello di non-league: Kiveton Park, Ashton North End, Stalybridge Rovers (nel Lancashire), Rochdale (dove debutta il 16 ottobre 1897, 1-1 a Horwich nel secondo turno di Coppa; due settimane dopo segna il suo primo gol con il club, contro l’Ashton North End), Grimsby Town (società in crisi nera dove apprende quanto sia deleterio far gestire la squadra ad un comitato anziché a un responsabile unico, che costerebbe almeno 150 sterline: troppe), Swindon Town, Sheppey United e Worksop Town. La svolta arriva con il passaggio al professionismo, al Northampton Town nel 1901. Da lì in poi, lasciato il lavoro di ingegnere minerario, cambia squadra ogni anno: Sheffield United (dopo averlo affrontato in FA Cup), Notts County (dal maggio 1903, per 300 sterline) e, dal marzo 1905, Tottenham Hotspur (dove è subito miglior marcatore degli Spurs: 11 reti nella Southern League 1905-1906 prima di regredire a riserva); ma soprattutto capisce cosa vuol fare “da grande”. Nel 1907 torna da giocatore-allenatore al Northampton Town, dove nel 1909 vince la Southern League. Ma come calciatore Herbert, a differenza di Harry (91 gol in 269 gare di campionato, 8 su 29 in FA Cup), non era granché, e di lui si ricordano più le scarpe giallognole che le prodezze in campo. Da manager, invece, carisma, sagacia tattica e fiuto nel riconoscere il talento ne faranno uno dei più grandi costruttori di squadre vincenti di sempre. Nel 1912 diventa il segretario al Leeds City (progenitore dell’attuale Leeds United, risorto sulle ceneri del fallito City nel 120, ndr). Le sue pressioni per far riammettere il club alla Football League hanno successo, ma durante la Prima Guerra Mondiale la società sarà coinvolta in «irregolarità finanziarie», relative ai pagamenti sottobanco effettuati ai giocatori “ospitati” nel periodo bellico, che portarono allo scioglimento della società nel 1919 e nella radiazione di alcuni dirigenti. Tra questi, Chapman, che in appello riesce ad evitare la squalifica vita, adducendo che all’epoca non aveva il controllo amministrativo diretto della società, lasciata per andare a dirigere una fabbrica di munizioni come coinvolgimento coatto nel conflitto. Sul piano tecnico, la sua gestione parla da sola: nonostante il sesto posto, l’affluenza media di Elland Road cresce dalle quasi 8000 unità del 1911-12 alle oltre 13,000 dell’anno seguente, il che consente al club di registrare un profitto di 400 sterline, una bella inversione di tendenza rispetto ai problemi finanziari della stagione precedente. «Chapman (...) ha fatto un gran lavoro per il club; si è guadagnato la fiducia di tutti», scrive ai tempi lo Yorkshire Post. L’anno in cui va più vicino alla promozione è il 1913-14 quando il City finisce quarto a sei punti dal Notts County, campione di seconda divisione, e a due dalla seconda, il Bradford Park Avenue; un piazzamento che, secondo il Yorkshire Post, «tenuto conto delle risorse del club, deve essere considerato soddisfacente, non solo perché la squadra non era mai arrivata così in alto ma anche perché incassi e affluenze hanno stracciato ogni record». Se ne va il 16 dicembre 1919 e diventa dirigente industriale in una ditta di Selby che lavora oli combustibili e carbone. Nel frattempo, continua la battaglia legale per i presunti abusi operati dalla Commissione della Football Association che, secondo Chapman, non aveva tenuto conto che lui non era in sede quando, si presumeva, quei pagamenti irregolari erano stati effettuati.Nel settembre 1920, scontata la squalifica, rientra nel calcio come segretario dell’Huddersfield Town, club del natio Yorkshire nel quale sarà manager a tempo pieno da marzo. Nei cinque anni successivi, il club di Leeds Road vivrà il suo periodo di maggior successo vincendo la FA Cup nel 1922 (1-0 al Preston North End in finale) e tre Football League (1924-26), l’ultima delle quali senza il grande capo. La prima, in particolare, merita di essere raccontata. All’ultima giornata il Cardiff è in testa con il minimo vantaggio sull’Huddersfield Town. I gallesi sono a un passo dallo storico trionfo e giocano a Birmingham, i Terriers in casa contro il Nottingham Forest. L’Huddersfield vince 3-0 mentre al St Andrew’s va in scena un finale-thrilling: il Cardiff conquista un rigore, ma nessuno se la sente di tirarlo; sul dischetto va allora Len Davies, che non ne ha mai battuto uno e che “ovviamente” sbaglia. I Blue Birds non sbloccano lo 0-0 e per la prima volta il campionato viene deciso dalla media di gol segnati, in quello che resterà il margine (0.024 gol/partita) più esiguo fra la prima e la seconda. Chapman, come i generali graditi a Napoleone, è anche fortunato.Quando, nel 1925, passa all’Arsenal, eredita una formazione di bassa o media classifica e a digiuno di vittorie. Con lui, diventerà il club più famoso d’Inghilterra.In giugno l’International Board modifica la regola del fuorigioco riducendo da tre a due il numero di giocatori fra l’attaccante e la linea di porta e il buon Herbert, che ha la testa dura ma anche furbizia da vendere, è lesto ad approfittarne. Già dal primo match l’interno Charlie Buchan, il giocatore più rappresentativo e suo primo acquisto (dal Sunderland), preme affinché il centromediano Jack Butler operi soltanto da difensore. Il tecnico nicchia, ma dopo la memorabile batosta (7-0) del 3 ottobre al St James’s Park contro il Newcastle United, si convince, anche perché Buchan minaccia di tornarsene al Sunderland. Nasce così il celeberrimo Chapman’s System, il modulo tattico che soppianterà l’ormai superato Metodo (WW) e si diffonderà come Sistema (o WM, dalla disposizione in campo: un 3-2-2-4 con i due mediani e le due mezzeali schierati a quadrilatero). L’idea di Buchan è semplice: spostare il centromediano (Butler e, subito dopo, l’ex mezzala Andy Neil) dalla posizione di movimento a centrocampo a quella fissa di “stopper” (da qui il nome al ruolo di marcatore della prima punta), e retrocedere un attaccante, per non perdere la superiorità numerica a centrocampo. Ne consegue che, a far scattare la cosiddetta “trappola del fuorigioco” non sono più i due terzini, ma il difensore centrale, che è il più arretrato, mentre i laterali si “allargano” verso l’esterno per prendere in consegna le ali.Dopo l’illusorio 4-0 del 5 ottobre ad Upton Park con il West Ham United (doppietta di Buchan), i risultati sono altalenanti. Chapman però non molla. Alla sua rivoluzionaria controriforma tattica aggiunge la firma di alcune delle maggiori stelle del calcio britannico, tra cui Cliff Bastin, David Jack (arrivato per 10.890 sterline in sostituzione di Buchan, ritiratosi, e primo a sfondare il muro delle cinque cifre), lo scozzese Alex James (9000) e il prossimo capitano, il terzino Eddie Hapgood; gente che assieme alle ali Joe Hulme e Cliff “Boy” Bastin, al nuovo stopper Herbie Roberts, agli altri terzini Tom Parker e George Male e al portiere Frank Moss farà dei biancorossi (indovinello facile facile: di chi è la trovata della manica bianca su maglia rossa?) una corazzata dalla formidabile prima linea (Hulme, Jack, Lambert, James e Bastin) che vincerà una FA Cup (nel 1930, 2-0 proprio all’Huddersfield Town; successo sfiorato nel ’32, quando a vincere per 2-1 sarà il Newcastle United) e quattro campionati; il primo nel 1931 (i londinesi sono la prima squadra del sud dell’Inghilterra a laurearsi campione) e gli altri consecutivi (1933-35) ma ancora una volta con Chapman a perdersi la tripletta. Il 3 gennaio 1934, si prende una polmonite nella ventosa Guildford, dove si è recato, nonostante il forte raffreddore e il divieto del medico, per seguire una partita della terza squadra. «Sarà una settimana che non vedo i ragazzi…» aveva detto, tre giorni dopo morirà. Il suo successore, il corpulento George Allison, ex inviato al seguito della squadra entrato poi nello staff tecnico, proseguirà nel solco tracciato dal maestro (la cui somiglianza indurrà numerosi errori nelle didascalie di svariate pubblicazioni, ndr) e metterà in bacheca, oltre ai titoli del ’34 e ’35, la FA Cup del ’36. In quella del ’27, invece, la sorte aveva riscosso da Chapman il credito elargitogli all’Huddersfield nel vittorioso campionato del ’24: a un quarto d’ora dal termine della finale con il Cardiff City, un rasoterra senza troppe pretese scagliato da Hugh Ferguson passò sotto il portiere dell’Arsenal, il gallese Daniel Lewis, ed entrò in porta. In pieno delirio da sconfitta, Chapman attribuirà la colpa della papera al... maglione nuovo di Lewis. Da allora, nella gestione Chapman, mai il portiere dei Gunners (a proposito: il copyright è suo) scenderà in campo senza prima aver fatto lavare, per infeltrirla, la nuova divisa da gioco.Una “innovazione” da niente, rispetto a quelle introdotte o solo sperimentate da Chapman, in campo e fuori: il tempo effettivo, i giudici sulla linea porta, i ritiri, le riunioni tattiche (compresi i discorsi pre-gara), le tournée in aereo, i palloni bianchi, le maglie numerate, i terreni sintetici, l’orologio dei 45’, i riflettori. Questi ultimi li vide andando a trovare un vecchio amico in Austria, dove assistette a una partita in notturna su un campo illuminato dai fari di 40 auto. «Ti rendi conto che se fossero piazzati su aste alte 40 piedi potremmo giocare come se fossimo in pieno giorno?». Non ci volle molto perché la stampa venisse convocata a un allenamento che l’Arsenal sostenne di sera, dopo che il padre-padrone del club aveva fatto disporre una decina di furgoncini con i fari accesi. In un’altra occasione, aveva fatto installare un orologio gigante che scandiva i 45 minuti così che i giocatori sapessero sempre quanto mancava alla fine. Ma la Football Association non gradì e l’orologio tornò a segnare le ore. Sempre in quel periodo nasceva l’abitudine tutta britannica di adornare con mazzi di fiori nei colori della squadra ospite il salotto di ricevimento dei dirigenti avversari, e pazienza se, dove non arrivava la natura, si provvedeva con petali dipinti. Sarà per quello che, dal 1936, all’ingresso della East Stand Marble Hall, dove campeggia il busto che lo ritrae, commissionato da 12 suoi amici a Jacob Epstein, sembra accennare un bonario sorriso. Anche nell’epoca del calcio finto, Chapman sarebbe stato primo in tutto, il migliore di tutti.
La Controriforma del WM
Nel 1925 l’International Board modificò la regola del fuorigioco e di fatto sancì la fine del Metodo (detto anche “Modulo a W” o WW), adottato in Italia attorno agli Anni 30. Quello schieramento prevedeva i terzini liberi da compiti di marcatura, i mediani a guardia delle ali e il centromediano nel duplice ruolo di costruttore e interdittore. Le mezzeali elaborano la manovra a centrocampo, le due ali e il centravanti sono punte pure. Era un gioco congeniale alla scuola italiana, più portata alla tecnica che alla corsa, e il Ct azzurro Vittorio Pozzo, con piccoli correttivi (il centromediano arretrato e rapidi contropiede), ne fece un “mezzo Sistema” che bissò nel 1938 il titolo mondiale del ’34. In quel periodo, Chapman introdusse in difesa l’uso della diagonale, per non restare mai con solo un difensore, che, una volta saltato, avrebbe lasciato campo libero agli avanti avversari. Fu, probabilmente, la prima rivoluzione calcistica e come conseguenze ebbe: l’allargamento della difesa verso l’esterno, i terzini (e non i mediani) in marcatura sulle ali e il centromediano stabilmente sul centravanti. Nel WM, mediani e mezzeali formano un quadrilatero a centrocampo (celeberrimo quello del Grande Torino: Grezar e Castigliano vertici bassi, Loik e V. Mazzola in appoggio alle punte), creando il gioco e liberando il centromediano da compiti di regia. Il modulo richiede una condizione atletica notevole e non a caso, in Europa, dopo gli inglesi, fu adottato dai tedeschi e dal “Wunderteam”, la meravigliosa nazionale austriaca assemblata da Hugo Meisl. Uno dei migliori Arsenal “sistemisti” si ammirò ad Highbury il 24 dicembre 1932, quando batté per 9-2 lo Sheffield United. Davanti al portiere Moss, tre difensori in linea, Male, Roberts e Hapgood, a centrocampo Hill e John alle spalle di Jack e di James, e le punte Hulme, Lambert e Bastin, secondo un didascalico 3-2-2-3. All’ultimo momento, Lambert sostituì il titolare Coleman al centro dell’attacco e realizzò cinque dei nove gol. Come per ogni modulo, erano i singoli a fare il Sistema.
di Christian Giordano, da http://footballpoetssociety.blogspot.com/

venerdì 10 giugno 2011

Wenger libera Clichy: «Può andarsene»

Il tecnico dei Gunners ha messo ufficialmente sul mercato l'esterno seguito dalla Juventus. Fonti vicino al giocatore: «Andrà all'estero». Bianconeri pronti a mettere sul tavolo un paio di contropartite tecniche.
Clichy non rinnoverà il contratto con l'Arsenal e Wenger è ormai certo che vedrà partire il suo giocatore. Ma non per un altro club della Premier League. L'esterno ha rifiutato l'offerta dell'Arsenal e fonti vicine al calciatore, come riportano i giornali inglesi, dicono che il rinnovo con i 'Gunners' è "altamente improbabile". Wenger non vorrebbe cedere il giocatore ad una concorrente e dunque l'offerta del Liverpool, 5 milioni di sterline, sarà rifiutata. Juventus, Inter, Roma e Bayern Monaco sono dunque pronte a fare l'offerta per il nazionale francese. La Juventus potrebbe mettere sul piatto una contropartita tecnica ed evitare l'esborso di 12 milioni di euro richiesto dagli inglesi. Troppi per un giocatore in scadenza di contratto.
da http://www.tuttosport.com/

Carl Jenkinson all'Arsenal

Arsene Wenger è ormai noto per la sua propensione a tuffarsi sulle giovani promesse del calcio mondiale per poi lanciarle nei palcoscenici più importanti e farli diventare noti in tutto il pianeta. Secondo quanto si legge su ‘Calciomercato.it’, il talento di turno scovato dal tecnico dei ‘gunners’ si chiama Carl Jenkinson, 19 anni del Charlton. Jenkinson, che adesso è ufficialmente un giocatore dell’Arsenal, è un difensore centrale che può giocare anche da terzino, ha la doppia cittadinanza (finlandese e francese) ed è il capitano della selezione Under 19 finnica.
Nella foto vediamo Carl Jenkinson con la maglia della Nazionale inglese, nell'unica partita giocata con l'under 17 nel 2008, dopo ha scelto di giocare con la Finlandia, dove è nata la mamma. 

giovedì 9 giugno 2011

Tempi moderni

Si stava meglio quando si stava peggio? Non si sa, ma a volte sembra proprio di si: quando c'erano il mistero e il dubbio, quando c'era d'attendere per sapere notizie che oggi ti si sviluppano davanti. Bisognava muoversi, darsi da fare, agitarsi, e spesso non era sufficiente. Fili tesi attraverso una stanza, appoggiati al televisore, tragitti supplementari in autobus e malintesi telefonici, tutto per arrivare a sfiorare qualcosa e a sentirsi coinvolti, anche con modalità postdatata. Oggi accendiamo il televisore al sabato pomeriggio e piombiamo direttamente al Villa Park o ad Highbury (finchè ce lo lasciano), ci appiccichiamo ad Internet e seguiamo la partita controllando ogni aggiornamento in tempo reale, tanto che l'ultimo spettatore allo stadio non si è ancora seduto che noi abbiamo già appreso, dal salotto, autore della rete e modalità. Compri Four Four Two e persino le sicofantesche riviste delle varie società all'edicola in centro, e ti piacee ne godi, ma a volte sembra tutto così facile che non c'è gusto e allora ti chiedi davvero se non si stesse meglio quando si stava peggio, quando andavi all'aeroporto (di Bologna, nel mio caso) alla domenica ora di pranzo, appena arrivava il volo da Londra, sperando che gli addetti della British Airways si impietosissero e ti lasciassero - invece di buttarlo nel bidone - un Sunday Mirror,un Sunday Times, un Sunday qualcosa che ti permettesse di leggere le cronache delle partite nello stesso giorno - mio Dio! - di quando lo potevano fare gli inglesi. A volte andava buca, a volte non ce n'era (ma figurati...) una copia salvabile o decente, a volte arrivava lo straccetto di fogli ed andavi subito a cercare le pagine dello sport, ma se ti capitava l'occhio su qualcos'altro rischiavidi soffermarti lì, tanta era la fame di ambiente britannico. Adesso su Internet si leggono ogni giorno quotidiani inglesi a non finire, nello stesso giorno e nelle stesse ore di lassù, anzi prima perchè alle 2.30 della mattina il The Times è già online e non so quanti londinesi l'abbiano già letto, in quel momento. Ma non è un male, non vogliamo trasformarci in vecchi lamentosi, èl'evoluzione dei tempi, e se abbiamo rimpianti è meglio che ce li teniamo per noi - o su una fanzine, o in un libro - e non rompiamo le scatole a chi ha tutto il diritto di appassionarsi al calcio inglese e rimane incredulo quando gli si racconta cosa si faceva una volta per arrivarci.Si usciva da scuola, alle medie appena oltre metà anni Settanta, ed invece di dirigersi verso la fermata dell'autobus si andava a piedi - dieci minuti, pieno centro ma in zona che per me non esisteva neppure, tutto casa e scuola com'ero - all'unica edicola che forse aveva qualcosa. Qualcosa che poteva essere un quotidiano di cui non ricordo il nome, forse The Times stesso, qualcosa che ogni tanto poteva essere acquistato centellinando i denari, per scorgere i risultatiscritti come ancora mi piace tanto, tipo:
Arsenal 2 (1) Sunderland 33, Price 56
Tottenham 0 (0)
44,578
Oppure, ma questa è una storia lunga, si bramava addirittura una rivista, addirittura il mitico Shoot che in realtà era molto infantile ma per me era come un dono dal cielo. Scoprii Shoot un giorno del 1976, credo, arrivato per misteriosi motivi all'edicola di Piazza Maggiore, e mi ci tuffai sopra prima che qualcuno potesse rubarmelo. C'erano addirittura foto a colori, poche, ma quellacarta interna tipo giornale aveva un profumo inconfondibile e io l'adoravo. Chiesi all'edicolante come l'avesse e lui - credo, ma mica ricordo le parole - disse che era arrivata per caso, mi disse anche che se la volevo ogni settimana dovevo ordinarla ad un'agenzia e mi diede il numero. Telefonai, sorprendentemente lucido pensai che sarebbe stato meglio farla arrivare alla mia solita edicola vicino alla scuola, e dalla Inter... qualche cosa mi dissero che era possibile, quasinon ci credevo. Dopo tre settimane l'edicolante, quello vicino, delle figurine e non di Piazza Maggiore, mi diede la copia ed il pensiero che io potessi comprare, anche in ritardo di dieci giorni, un settimanale di calcio mi pareva un sogno. Infatti crollò presto: dopo tre numeri non arrivò più nulla, io feci passare qualche giorno - non ho mai avuto un grande coraggio nelle proteste - poi chiamai la Interqualcosa e chiesi docilmente spiegazioni. Caddero dalle nuvole e mi ferirono con la loro antipatia, facendomi probabilmente compiere il mio ingresso nel mondo dei "grandi", della gente che se ne strafrega dei sogni: finsero di non avere mai portato a Bologna alcuna copia di Shoot, ed addirittura il mio interlocutore mi disse "ma guardi che è una rivista porno!", e alloraprobabilmente le tre copie di Shoot che avevo in casa non le avevo lette bene, perchè io avevo trovato solo il Luton Town e lo Shrewsbury, non qualche donnina che in quel momento - vero, vero - mi interessava certamente di meno. Dopo un paio d'anni a Shoot mi abbonai addirittura, mi facevo inviare ogni fine mese le quattro copie settimanali, tutte assieme per risparmiare, tanto a me bastava leggere e guardare le foto, non certo avere quell'attualità che mi dava la radio, la BBC con il suo World Service, le dirette delle partite rovinate dal fruscio del sabato pomeriggio, una routine che mentre gli altri adolescenti uscivano mi teneva - volentieri - appiccicato al tavolo dalle 15.45 alle 18.30 ed anche più, con il quaderno dei compiti davanti così non stavo a correre il giorno dopo. Era un'esperienza bellissima e terrificante: bastava che passasse qualcuno e il segnale si indeboliva, ma la radio era in cucina e non potevo certocostringere genitori e fratelli a non frequentarla, mi mettevo la cuffia con le "orecchie" imbottite e speravo di sentire tutto quello che mi serviva, anche se dopo le 18, quando i risultati erano definitivi, il segnale si indeboliva e dovevo spostarmi su un'altra frequenza, a volte incerta, a volte accavallata ad altri linguaggi astrusi che non capivo, a volte sparita del tutto, e allora dovevo attendere le 23.45 (ricordo bene?) per il notiziario definitivo, e lo era sul serio perchè non si giocava alla domenica, sabato alle 18 era tutto finito. E potevo spostare i cartoncini con i simboli delle squadre nel "portaclassifica" che Shoot regalava, e che a fine anno era rovinato dal troppo uso. Naturalmente, come vadano ora le cose lo sanno tutti, ma era semplicemente unascusa per parlare del passato e gettare sale nelle ferite, le stesse che con il loro dolore permanente - ogni volta che uno stadio inglese viene chiuso, ogni volta che un calciatore mediterraneo veste la maglia di una squadra britannica (gli scandinavi no, loro vanno bene) - ci fanno continuamente chiedere se si stia meglio ora, in diretta da Goodison Park e subito dopo via la linea e spazio alla pallavolo (non è una critica a Tele+, sia chiaro, che sul calcio inglese habenemerenze infinite), che non una volta, quando c'erano l'ansia della scoperta e il mistero della trasmissione radiofonica. Mi astengo dal giudizio, però, perchè io e gli altri nostalgici non abbiamo alcun diritto di impedire alle nuove leve della passione inglese di avvicinarsi alle partite e alla loro atmosfera attraverso i nuovi mezzi di comunicazione e i viaggi a basso costo (che belli!): oppure mi trasferisco a fare il cane da slitta in Antartide, così gli uomini della base McMurdo mi fanno leggere il quotidiano solo una volta alla settimana, quando arriva il cargo con i giornali, e la tempesta di neve che fa friggere il segnale di BBC Antarctica mi ricorderà di quando mia mamma passava davanti al forno e faceva sparire il risultato di Carlisle-Hull City.
Faccio un po' fatica a calarmi nello spirito della fanzine, e spiego perché. Innanzitutto, la facilità con cui si scrive in prima persona mi mette a disagio: è un privilegio che - se proprio deve esistere - dovrebbe essere riservato ai grandissimi giornalisti, anche se in genere viene reso proprio semplicemente da quelli che ritengono tali e quindi più importanti di ciò di cui si occupano, avallati evidentemente dai direttori che concedono loro questa libertà per timore di perderli. In secondo luogo, superato a fatica l'ostacolo io/ego, non so mai se sia il caso di essere seriosi e buttare lì un pezzo come se scrivessi su una bella rivista (il giornale quotidiano e la sua stessa filosofia di base, transitoria, non mi hanno mai attirato) o invece catapultarmi nello spirito stesso della fanzine e buttarla sul personale: visto che chi la legge non ha certo bisogno di sentirsi raccontare eventi storici che in genere conosce benissimo, perché altrimenti non sarebbe un assiduo lettore/scrittore della fanzine stessa, mi sentirei un po' fuori posto nel raccontare la cronaca della finale di FA Cup del 1975 o quella del 1980, per cui che faccio? Faccio quello che perlomeno mi sembra più originale e tornando alle prime righe di questo delirio la ri-butto sull'io/ego e narro qualcosa che ho vissuto personalmente, così almeno le sensazioni e le piccole curiosità saranno una novità per qualcuno. E indovinate dove si va a finire? Sulla "prima volta". La prima volta in Inghilterra e la prima volta in uno stadio, ovvio, sperando che interessi a qualcuno. Primavera 1979: a sorpresa (in famiglia stavamo decentemente, ma soldi da scialare non ce n'erano proprio) ottengo dai miei genitori la sospirata vacanza-studio in Inghilterra.Tra le date disponibili scelgo ovviamente quella a metà agosto, con lo scopo preciso di occuparmi di calcio in ogni momento lasciato libero dallo studio della lingua, che peraltro avevo già iniziato ad assorbire tramite la radio, il BBC World Service, ed una certa predisposizione alle lingue straniere (quella che tragicamente non ho, invece, per i numeri). Arriviamo dopo un viaggio patetico, concluso per motivi che non ricordo con una notte a dormire sul pullman che doveva portarci da London Gatwick alla nostra destinazione nel nord di Londra, e dopo circa dieci minuti dalla presentazione al padrone di casa, il signor Everett, simpatico signore sui 35 anni dai capelli scarsi e rossicci con tanto di barbetta, arriva la mia prima domanda: signor Everett, io sono un tifoso dell'Arsenal, non che c'è qualche maniera di andare a Wembley sabato prossimo per la Charity Shield ? Non potendo impallidire perché già era bianchiccio, il signor Everett si mise a ridere: "io sono tifoso del Tottenham e vuoi che ti porti a vedere l'Arsenal ?". Ma la sua disponibilità nei confronti dell'ospite era totale: tramite amici si procura due biglietti per la lower standing enclosure e tappandosi il naso dal punto di vista etico mi accompagnò a Wembley. Allora, per capire come mi sentissi quel giorno bisogna fare un passettino indietro: seguivo il calcio inglese da qualche anno, ma avevo toccato il momento di massima emotività solo tre mesi prima di quella vacanza, nel maggio del 1979, assistendo come impietrito alla finale di FA Cup tra Arsenal e Manchester United, quella del 2-0 per i Gunners già nel primo tempo, dei due gol dello United (o "Manchester" e basta come scrivono i quotidiani...) negli ultimi tre minuti e della rete della vittoria di Alan Sunderland appena 45" dopo il pareggio di Sammy McIlroy. Di fronte a quelle immagini, al boato profondo dei tifosi nella "curva" alla destra dello schermo, visibili sullo sfondo mentre Sunderland veniva abbracciato dai suoi compagni di squadra, provai una profondissima emozione e - erroneamente, perché non è questo il carattere distintivo del calcio inglese - pensai che solo lassù potessero esserci partite così emozionanti e incerte, specialmente se le paragonavo a quelle del campionato italiano (che già aveva iniziato ad attirarmi molto poco, e con esso tutte le folcloristiche manifestazioni tipo striscioni e fumogeni e tamburi) che sembravano tutte finire 0-0, specialmente nelle grandi sfide. Ancora emotivamente mosso da quella partita, accolsi quasi come un sogno la possibilità di rivedere quella stessa squadra in quello stesso stadio, solo tre mesi dopo. Chi legge queste righe comprenderà tranquillamente ciò che sto cercando inutilmente di descrivere e che provai dal momento in cui mi alzai nella mia cameretta, quel mattino di agosto, e venni immediatamente colpito dalla sensazione che di lì a poche ore avrei visto non solo la mia prima partita di calcio in Inghilterra, ma a Wembley e tra Arsenal e Liverpool. Non potevo chiedere di più, ovvio. Uscimmo dalla casetta di Southgate e salimmo in macchina, salutati da uno zio dei signor Everett che era tifoso dell'Arsenal e sottolineò beffardamente il fatto che il nipote stesse andando a vedere la squadra che probabilmente sopportava meno. Devo dire la verità, non ricordo tutto quello che accadde, forse per la troppa emozione: tragitto in auto, probabilmente lungo le strade da Southgate verso ovest, poi ultimo tratto in treno fino ad una delle stazioni intorno allo stadio, e l'impatto micidiale con i colori rossi e gialloblu (l'Arsenal oltretutto giocava con la stessa divisa della finale di FA Cup, quella meravigliosa gialla con colletto blu stile camicia, pantaloncini blu e calze gialle) che popolavano i dintorni di Wembley. Non ricordo assolutamente di avere fatto le scale (quelle esterne) ma certamente non potrò mai dimenticare il momento in cui mi trovai nella semioscurità della parte bassa della tribuna, e le squadre uscirono in fila dal tunnel sotto di me e si avviarono camminando, con i manager in testa, verso il centro del campo. Impossibile che mi passi di mente l'esecuzione di God save the Queen accompagnata da quasi 90.000 persone ("oh mamma!" fu il commento di mia madre quando le dissi quanta gente c'era stata quel giorno), impossibile che mi escano di testa le sciarpe di cotone e di raso e i "ministriscioni" che singole persone tenevano sollevati sopra la testa, tesi tra due bastoncini. Quel giorno andò storto il risultato: 3-1 per il Liverpool, e appresi solo in seguito che molti critici avevano considerato quella partita come una delle più perfette che i Reds avessero disputato in tutta la stagione. Ma ho ancora in mente una frase che il signor Everett mi disse ad un certo punto, e che ha continuato a frullarmi in testa anche quando mi è parso che l'evidenza degli anni successivi raccontasse il contrario: il gol di Frank Stapleton, verso la fine e già sul 2-0 o 3-0 (chisseloricorda) per il Liverpool, venne accolto da un boato e da un'esultanza che mi stupirono, e il mio benemerito accompagnatore commentò "i tifosi dell'Arsenal sono proprio pazzi, continuano ad incitare la squadra anche quando perde". Uscendo dallo stadio Everett incontrò un suo conoscente che aveva appuntamento con noi alla macchina, e questo signore mi fece un regalo che ancora conservo caro: una sciarpa rossa di raso, in cui si legge solo ARSENA perché l'ultima lettera è stata slabbrata via, sfilacciata assieme al resto della sciarpa. Il motivo? Era stata tenuta fuori dal finestrino quel giorno di maggio in cui i Gunners avevano vinto la FA Cup, e dopo qualche chilometro di auto lanciata e clacson suonato per festeggiare la forza dell'aria l'aveva conciata così. Non vorrei esagerare, ma quella sciarpa era una reliquia per me, perché era un'eredità tangibile (E IN MANO MIA!) di un giorno che mai più potrò dimenticare. E non so se il gentilissimo signor Everett abbia riso sotto la barbetta, per la sconfitta dei Gunners nella Charity Shield, ma mi sono "vendicato" presto: sette giorni dopo iniziava la stagione di First Division, andammo al White Hart Lane per Spurs-Middlesbrough e di fronte ai miei occhi il Boro vinse 3-1 (giocava il pelatone Armstrong, lo ricordate?, e la maglia era la strepitosa rossa con fascia bianca orizzontale) mentre l'altoparlante comunicava che qualche decina di chilometri più a sud il debutto in massima serie del Brighton and Hove Albion era stato rovinato da una squadra di Londra in maglia rossa con maniche bianche e cannoncino sul petto che aveva violato il Goldstone Ground vincendo 4-0.
di Roberto Gotta, da UKFP n° 1 - dicembre 2002

martedì 7 giugno 2011

L'ex Gunners Groves: "Fabregas o Nasri? Tra i due tengo il francese"

Samir Nasri più importante di capitan Cesc Fabregas: è questa in sintesi l’opinione di Perry Groves, ex attaccante dei Gunners a cavallo degli anni Novanta.Sia il centrocampista delle “Furie Rosse” che il giovane talento dei “Galletti” transalpini sono stati considerati come possibili partenti nella finestra di calciomercato di questa estate, con il Milan campione d’Italia accostato a entrambi, in particolare al talento spagnolo, che sarebbe il tipo di giocatore ideale per ricoprire il ruolo di mezz’ala sinistra.In un’intervista al sito "Talksport", Groves ha dichiarato: “Penso che per il futuro dei Gunners, Nasri sia più importante di Fabregas. Se Cesc vuole trasferirsi al Barcellona perché sente quello stimolo e rischierebbe di non essere concentrato al 100% se proseguisse la sua avventura a Londra, allora può anche essere ceduto: ovviamente dietro il giusto corrispettivo in denaro, che si tratti di 40 o 50 milioni di sterline. Ovviamente perdere un centrocampista della sua tecnica e della sua combattività sarebbe un brutto colpo”, ha proseguito l’ex stella dell’Arsenal, “ma Samir Nasri ha disputato un inizio di stagione brillante, dove è stato protagonista insieme a un altro giovane, Jack Wilshere. Credo avesse siglato già 10 o 11 gol prima di Natale. Quando poi Fabregas è rientrato dall’infortunio, Nasri ha cambiato posizione, giocando largo a destra o a sinistra del fronte d’attacco, ma non essendo più così influente. Il contratto di Fabregas scade soltanto tra un anno, e se vorrà andarsene per diventare uno dei calciatori più pagati del panorama europeo penso che chiederà delle garanzie specifiche dove giocherà. La sua cessione quindi, per l’Arsenal, potrebbe essere un rischio calcolato”.
da http://www.tuttomercatoweb.com

lunedì 6 giugno 2011

Highbury 1913-2006 R.I.P.

A distanza di 5 anni dall'addio ad Highbury, riproponiamo l'articolo dell'amico Roberto Puzzi, uscito nel 2006 su UKFP.Il 7 maggio 2006 è stata una giornata speciale, non solo per ogni tifoso dei Gunners, ma anche per ogni singolo appassionato di football. All'Arsenal Stadium, o Highbury come è conosciuto in tutto il mondo, si è chiusa un'epoca: 93 anni di gioie, sofferenze, successi e sconfitte che hanno reso questo teatro un posto magico, "a special place with special fans" come ha detto Lee Dixon nella cerimonia conclusiva dopo la partita con il Wigan Athletic. 38.419 posti purtroppo non erano sufficienti per il calcio moderno e allora per continuare a costruire qualcosa di importante l'Arsenal ha dovuto cercare una nuova casa, trovandola, per fortuna, a poche centinaia di metri da Highbury. Il nuovo stadio sorge infatti ad Ashburton Grove e sarà sicuramente più comfortevole e darà la possibilità a molti più tifosi (60.432 la capienza ufficiale) di vedere la propria squadra del cuore, ma quelle tribune, la Marble Halls, quel prato e quell'aria di football che si respirava entrando ad Highbury sono sicuro rimarranno per sempre nel mio cuore e nel cuore di tutti i tifosi dell'Arsenal che per anni hanno considerato questo stadio come la loro seconda casa (conosco gente che per decenni non si perdeva, anzi non si perde, una gara interna). Lo stadio fu inaugurato il 6 settembre del 1913 per la prima partita della stagione 1913/14 contro il Leicester Fosse e l'Arsenal si impose 2-1. Lo stadio fu progettato da Archibald Leitch su commissione di Henry Norris, che concentrò tutte le sue attenzioni sull’Arsenal a discapito del club di cui era presidente, il Fulham FC. La sua intenzione in realtà era quella di unire il Fulham e l’Arsenal per creare una vera e propria potenza del calcio londinese ma questa idea gli fu impedita dalla Football Association. Decise allora di dedicarsi maggiormente all’Arsenal (in cui vedeva maggiori possibilità di crescita) e nonostante parecchie ostruzioni sia dai tifosi, che non vedevono certo di buon occhio lo spostamento da Woolwich a nord di Londra, sia dai residenti della zona di Highbury e sia dai clubs del nord di Londra (in particolar modo il Tottenham FC) riuscì ad avere l’autorizzazione per costruire lo stadio nella zona di Highbury, dove allora c’erano i campi del College di St. John, da cui il primo nome della Clock End, ovvero College End. Curioso come nell’accordo fu stabilito che l’Arsenal non poteva giocare in casa il giorno di Natale e il venerdì di Pasqua, clausola poi tolta nel 1925. La tribuna principale era la East Stand mentre le terracing erano presenti in tutti gli altri settori. Negli anni 30 vennero costruite le famose ‘Art Deco’ West Stand (1932) e la nuova East Stand (1936), entrambe disegnate da Claude Ferrier. ‘Art Deco’ era un nuovo stile nato a Parigi a metà degli anni venti ed era originariamente “usato” per la costruzione di teatri e ristoranti; fu quindi una grossa novità quella di costruire tribune con questo design. La famosissima East Stand ha ospitato fino al luglio scorso gli uffici dell'Arsenal, gli spogliatoi e la Marble Halls, l'ingresso principale nel quale è stato messo il busto di Herbert Chapman, allenatore che ha decisamente lasciato il segno nella storia bianco-rossa. Tra le tante cose importanti fu proprio lui a chiedere ed ottenere che la stazione di Gillespie Road sulla Piccadilly Line cambiasse nome e diventasse Arsenal (l'unica squadra ad avere una stazione della metropolina con il proprio nome) e, oltre a portare tanti trofei nella bacheca dell'Arsenal, fu lui ad introdurre la numerazione sulle magliette dei calciatori. Solo nel 1989 invece la Clock End venne completamente rinnovata con l’aggiunta di 48 box mentre nel 1993 fu costruita la nuova North Bank su 2 anelli in sostituzione della mitica terrace che ha ospitato per anni il cuore del tifo gunners. Ad Highbury fu disputata la prima partita trasmessa dalla radio, la BBC Radio. Era il 22 gennaio del 1927, l'avversario di turno era lo Sheffield Utd e la partita si concluse con il punteggio di 1-1. Anche la prima partita di calcio trasmessa in televisione (anche se solo qualche spezzone) si svolse ad Highbury e fu un incontro disputato nel 1937 tra la prima squadra e le riserve. Highbury ha anche ospitato semifinali di FA Cup ed alcune partite della nazionale inglese ma è stato anche teatro di altri eventi importanti extra-calcistici. Tra questi ricordiamo il film "Arsenal - The Stadium Mistery" girato nel 1939 e il famoso incontro di pugilato del 1966 valevole per il titolo mondiale tra Cooper (che era presente il 7 maggio ad Highbury) e Muhammad Ali. Il resto è storia recente, ovvero l'ultima partita ufficiale dell'Arsenal disputata ad Highbury. Io, con mio padre, sono stato uno di quei 38459 fortunati a poter entrare, purtroppo per l'ultima volta, alla 'The Home of Football' (questo il nome con cui veniva chiamato Highbury e di cui campeggiava la scritta all'ingresso della North Bank in Gillespie Road, appena fuori dalla stazione Arsenal). Già dalle prime ore del mattino le strade intorno allo stadio erano popolate di tifosi, qualcuno arrivava addirittura in auto per riempire il baule di programmi (per poi rivenderli su ebay...) tant'è che l'Arsenal ha dovuto ristamparli nonostante ne avessero già prodotti 60.000. La giornata si è chiusa alla grande con la vittoria per 4-2 sul Wigan Athletic, una tripletta di Henry (curioso che la prima tripletta segnata ad Highbury fu realizzata da un certo Henry King mentre l’ultima da…… “King Henry”!) e la qualificazione ai turni preliminari di Champions League (grazie Hammers!). Poi la sfilata di tutte le vecchie glorie, dei trofei, l’assolo di Roger Deltrey cantante degli Who e “gooner through and through” che ha composto una canzone, “Highbury Highs”, dedicata appunto ad Highbury, il countdown finale con fuochi d'artificio e tanta, tanta malinconia perchè col passar dei minuti ci si rendeva conto che in quello stadio nessuno avrebbe più potuto metterci piede.Di cose da dire sulla storia di Highbury ce ne sarebbero veramente un’infinità, tant’è che sono usciti parecchi libri sull’argomento che consiglio vivamente agli interessati. L’ultimo in ordine di tempo è quello ufficiale di Brian Glanville con, tra l’altro, tutte le formazioni dell’Arsenal scese in campo nelle 2010 partite disputate in questo meraviglioso impianto e tante bellissime foto. Sono stati pubblicati anche “Highbury, The Story of Arsenal Stadium” di Bruce Smith (uscito in 2 edizioni, quella hardback prima della fine della scorsa stagione e quella paperback uscita dopo il 7 maggio aggiornata appunto con il finale di stagione), “Highbury, The Story of Arsenal in N5” di Jon Spurling e “Farewell to Highbury: the Arsenal Story” di Norman Fox, quest’ultimo più che altro una storia dell’Arsenal e non del suo stadio. Raccontano dettagliatamente ogni singolo cambiamento di Highbury ma anche e soprattutto storie curiose e parecchi aneddoti; tra gli altri, per esempio, la leggenda che dice di un cavallo murato nella costruzione della vecchia North Bank, o Laundry End com’era chiamata nei primi anni: nessun osso fu comunque poi trovato durante la ristrutturazione della North Bank stessa agli inizi degli anni novanta.Sicuramente il nuovo stadio nel corso degli anni riuscirà ad acquisire una propria identità ed attirerà tanti nuovi giovani tifosi. Probabilmente tra 93 anni l'Arsenal cambierà stadio e i suoi tifosi verseranno lacrime ricordando le tante emozioni e soddisfazioni (speriamo...) che hanno vissuto ad Ashburton Grove così come i tifosi dell'Arsenal nel 1913 si sentirono traditi dallo spostamento dalla zona sud-est alla zona nord di Londra. Quello che personalmente non dimenticherò mai è la fortuna di essere stato in quello che per me era, è e sarà per sempre il tempio del calcio, la ragione principale che mi ha fatto innamorare del calcio inglese e in particolar modo, ovviamente, dell'Arsenal.
di Roberto Puzzi, da UKFP n° 17 - dicembre 2006

venerdì 3 giugno 2011

Fabregas vale 60 milioni

Se il Real Madrid vuole Cesc Fabregas dovrà sborsare almeno 60 milioni di euro. Sarebbe stata questa la richiesta dell'Arsenal, contattato dal dirigente merengue Josè Angel Sanchez che chiedeva informazioni sul centrocampista spagnolo. Una richiesta alta ma che la Casa Blanca, secondo il tabloid The Sun, sarebbe pronta a soddisfare pur di soffiare il giocatore al Barcellona. "Florentino Perez ha identificato in Fabregas l'obiettivo numero uno per far male al Barça - rivela una fonte interna al club blanco -. Crede che ingaggiare Fabregas sia una chiara dichiarazione d'intenti per la prossima stagione e farà tutto il necessario per riportare il Real davanti al Barcellona". I blaugrana, dal canto loro, non sarebbero disposti a offrire più dei 34 milioni di euro messi sul piatto la scorsa estate.da http://www.gazzetta.it

mercoledì 1 giugno 2011

Tony, capitano nell'anima

Tony Adams

Il calcio, e lo sport in generale, non è fatto solo di gesti atletici, giocate strabilianti, reti, tabellini e statistiche, il calcio è fatto anche di grandi gesti; e sono i grandi gesti che rimangono nell’immaginario collettivo. Tony Adams nasce il 10 ottobre 1966 nei sobborghi di una swingin London ancora ebbra della vittoria dei “Tre leoni” nel mondiale giocato pochi mesi prima. Nel destino del ragazzo ci sarà una sola squadra, l’Arsenal, di cui lui sarà il capitano coraggioso, l’assoluta bandiera ed il traghettatore del “Boring Arsenal” di Taylor che con il suo contributo si trasformerà nell’Arsenal champagne di Wenger. Tuttavia l’immagine che ho impressa a fuoco nella mente non riguarda il Tony Adams gooner, non riguarda un suo successo, non riguarda neanche la sua proverbiale grinta, riguarda bensì un suo magnifico gesto. Inghilterra, estate 1996: al grido di “Football is coming home” nel paese della sterlina si giocano i Campionati Europei di calcio. La nazionale inglese è circondata da un fondato ottimismo che fa pensare a tutti che i “bianchi” possano finalmente mettere le mani sul trofeo continentale. La squadra è ricca di fuoriclasse e di giocatori allo zenith della loro carriera; come non essere ottimisti quando nel team hai gente come Seaman, Gascoigne, Platt, Pearce, Adams, Sheringam, e Shearer (the one and the only). La campagna europea degli inglesi parte in sordina con un pareggio di 1-1 con la Turchia, gol di Shearer (ma che lo dico a fare). Seguirà una vittoria sulla fiera Scozia 2-0 (Shearer e Gascoigne) ed infine un netto successo sull’Olanda per 4-1 (Shearer 2, Sheringam 2). L’Inghilterra vince e convince e termina al primo posto del suo girone. La stampa inglese euforica si esalta come raramente capita e probabilmente mette un pò di pressione alla squadra, comunque il successo sembra scritto nel destino quando nei quarti una Inghilterra in tono minore supera ai rigori la Spagna. Tra gli inglesi e la finale ora ci sono solo i tedeschi, sempre i soliti tedeschi, che non producono calcio spettacolo, ma alla fine sono sempre lì, ad un passo dal paradiso.Ricordo un memorabile titolo di un giornale (credo il Sun) che in previsione della sfida con la Germania, riesumava lo spirito combattivo della seconda guerra mondiale e sbatteva in prima pagina Gascoigne e Pearce con l’elmetto titolando “Let’s blitz the fritz”.Arriva il fatidico giorno, 26 giugno 1996; nella semifinale l’Inghilterra parte a spron battuto, 3 minuti e Shearer (come sempre) porta i suoi in vantaggio; al quarto d’ora però il vecchio Kuntz pareggia i conti, 1-1 e palla al centro. Per tutta la gara, supplementari inclusi, è l’Inghilterra che gioca il calcio migliore e Gazza in spaccata manca il golden gol per un centimetro; si va ai rigori, come sei anni prima quando a Torino, nella semifinale mondiale, Pearce scagliò il pallone a Superga. Shearer, Platt, Pearce (che memore dell’errore fatto ad Italia90 calciò un pallone che pesava un quintale), Gascoigne e Sheringam segnano per l’Inghilterra, replicano però con fredda precisione per al Germania Hassler, Strunz, Reuter, Ziege e Kuntz! Si va ad oltranza.Wembley trattiene il fiato; sulla palla per gli inglesi si porta Gareth Southgate, centrale del Villa con ottime referenze; tira, ma Kopke para! Gelo nello stadio. Per i tedeschi va al tiro Moller, rete! Wembley ammutolisce, i tedeschi urlano e cantano la loro gioia e Southgate sprofonda in un pianto dirotto inginocchiandosi a terra.Cosa può fare in quei momenti un “capitano nell’anima”? Pur con il morale a pezzi Tony Adams rimette in piedi Southgate, se lo carica sulle spalle e lo porta a raccogliere l’applauso del pubblico inglese, sofferente ma fiero come non mai. Adams nella sua biografia racconterà che in quel momento era un uomo distrutto; annegherà poi da solo la sconfitta nella birra, ma nonostante tutto trovò il modo di confortare il compagno tramortito dal peso di aver fallito un appuntamento con la storia. Grandissimo Tony, capitano senza fascia al braccio (all’epoca la vestiva con orgoglio Shearer), simbolo del calcio inglese che ancora una volta era arrivato vicino alla vittoria e se l’era vista sfuggire.Tony, gigante comprensivo e sensibile, guarda negli occhi tutto lo stadio, è pronto per nuove sfide, sa di essersi battuto al meglio e con lui i suoi compagni, compreso Southgate che gli piange sulle spalle.
di Charlie Del Buono, da https://ukfootballplease2002.blogspot.com - dicembre 2006