venerdì 10 settembre 2021

Scoppia il caso ‘no vax’ nell’Arsenal: “Sarà tutta la squadra a pagarne il prezzo”.

La stagione non è iniziata nel migliore dei modi per l'Arsenal, con tre sconfitte in altrettante partite di Premier League. Mikel Arteta e la sua squadra hanno evidenti difficoltà sul rettangolo verde ma bisogna sottolineare come i Gunners abbiano dovuto fare a meno di alcuni calciatori importanti che sono risultati positivi al Covid-19 e questa vicenda ha messo ancora più in difficoltà il club di Londra: prima è toccato a Aubameyang e Lacazette, i due attaccanti più importanti; poi a Ben White, costoso acquisto estivo; e, infine, a Granit Xhaka, che si è rifiutato di vaccinarsi prima di contrarre il COVID-19 la scorsa settimana quando si è sottoposto ai test con la nazionale elvetica ed è risultati positivo.
Di fronte a questa situazione Arteta, nella conferenza stampa che precede la gara contro il Norwich, ha puntato il dito contro i ‘no vax' presenti nella sua rosa e ha illustrato come queste scelte non ricadano solo sui singoli ma possono portare svantaggi a tutta la squadra: "Ovviamente, se non si vaccinano, ci saranno dei limiti, perché non vogliamo esporci a certe cose. Ad esempio, quando si viaggia. Se non sono vaccinati e viaggiano o socializzano in determinate occasioni, il rischio aumenta molto. Non vogliamo esporre nessuno dei nostri giocatori. Alla fine, la squadra e il club ne pagheranno il prezzo".
Il tecnico basco di fronte all'ondata di positivi improvvisi aveva dichiarato che a suo parere la partita contro il Brentford avrebbe dovuto essere rinviata e ora si augura che i suoi giocatori possano vaccinarsi al più presto: "Stiamo cercando di spiegare tutti i motivi per cui questa è la cosa giusta da fare. Prima di tutto proteggerà il club e in secondo luogo i compagni di squadra, l'ambiente con cui sono in costante contatto e l'esposizione che dovranno affrontare se non sono vaccinati".
Arteta ha concluso il suo intervento affermando: "D'altra parte, qual è la cosa migliore per il club e la squadra se non ridurre al minimo il rischio che un giocatore contragga il virus o lo trasmetta a qualcun altro? Però è una questione personale, non è un obbligo e dobbiamo rispettarlo".
da https://www.fanpage.it

martedì 7 settembre 2021

ARTICOLO. Arsenal in crisi da anni: ultimo in Premier League.

Arsenal in crisi da anni. Oggi, i gunners, si ritrovano all’ultimo posto in Premier League. La squadra di Arteta nelle prime tre giornate ha riportato tre sconfitte con Brentford, Chelsea e Manchester City, ma soprattutto non è riuscita a rifilare una rete ai suoi avversari. Da tempo ormai l’Arsenal non rappresenta più l’élite del calcio inglese. Per i tifosi dei gunners, l’ultimo risultato di prestigio è stato il raggiungimento della finale di Europa League nella stagione 2018/19: competizione persa contro i rivali del Chelsea, allora allenati da Maurizio Sarri.
Sono troppi gli errori che la squadra del nord di Londra ha accumulato in questi ultimi anni. E, quest’anno, per la prima volta, dopo 27 anni, i gunners si ritrovano fuori dalle coppe europee. Era dalla stagione 1995/96 che l’Arsenal non partecipava a una competizione continentale. Allora, a seguito di un dodicesimo posto nella Premier League nella stagione 1994/95, i gunners non erano riusciti a qualificarsi per nessuna manifestazione internazionale. Ma, successivamente, l’Arsenal, riuscì sempre a trovare un posto in una rassegna continentale. Per otto anni, dalla stagione 1997/98 alla stagione 2004/05, gli uomini alla guida di Arsène Wenger si stagliarono nelle prime due posizioni della Premier League e, poi, per undici anni, non andarono mai oltre al quarto posto, riuscendo sempre a partecipare alla Champions League. Ora, invece, i tempi sono cambiati e i gunners, dopo l’ottavo posto della scorsa stagione, hanno subito l’onta di restare fuori dall’Europa.
I tifosi dei gunners incolpano la società
Per i fan dell’Arsenal la crisi dei gunners ha un cognome: la famiglia Kroenke. Dicono loro: “la colpa è dei Kroenke. Sia il padre Stan che il figlio Josh se ne fregano dell’Arsenal. Il Presidente, Stan Kroenke, è distante dalla società e il figlio Josh è un vero incompetente che fa solo investire male i soldi al padre!”. Questa stagione 2021/22, l’Arsenal ha spesso ben 166 milioni di euro per comprare giocatori che paiono di livello normale: Nuno Tavares (centrocampista centrale Benfica, 8 mln). Sambi Lokonga (centrale Anderlecht, 17,50 mln di euro). Ben White (centrale di difesa Brighton, 58,50 mln). Martin Odegaard (trequartista Real Madrid, 35 mln). Aaron Ramsdale (portiere Sheffield Utd, 28 mln). Takehiro Tomyasu (difensore Bologna, 18,50). A pensare che in passato l’Arsenal ha avuto fior di giocatori, questi nomi fanno rabbrividire i tifosi dei gunners. In rosa ci sono ancora i Pierre-Emerick Aubemeyang, gli Alexandre Lacazette, Granith Xhaka, ma siamo distanti anni luce dai tempi dei Tony Admas, Martin Keown, Dennis Bergkamp, Freddie Ljungberg, Marc Overmars, Robert Pires, Soul Campbell, David Seaman, Patrick Vieira, Thierry Henry…
La perdita di David Dein, primo allarme per il club del Nord di Londra
Da quando nel 2007, all’Arsenal, è andato via l’ex Vice Presidente David Dein, il club del nord di Londra ha perso la sua bussola. Arsène Wenger, dopo l’uscita di Dein, restò comunque per altre undici stagioni in carica ai gunners, ma il club del nord di Londra non riuscì più a ripercorrere quei fasti di fine, inizio millennio. Da allora più nessun titolo della Premier League, molte apparizioni in Champions, ma a parte la semifinale della stagione 2008/09, più nessun traguardo di rilievo. Era l’Arsenal dei Robin Van Persie, dei Cesc Fàbregas, dei Nasri, Adebayor e Rosický. In quella stagione 2008/09, l’Arsenal diede l’incarico di amministratore delegato ad Ivan Gazidis. L’attuale direttore generale del Milan restò in sella ai gunners fino alla stagione 2018, quando anche Arsène Wenger lasciò la panchina della squadra londinese. La proprietà dell’Arsenal è ben diversa da quella di altri club del calcio inglese, il club è di proprietà di una società madre: l’Arsenal Holdings plc. Storicamente, il club è stata di proprietà dei discendenti delle famiglie Bracewell-Smith e Hill-Wood. Dal 2008 l’Arsenal Holdings pls invece è diventata di proprietà dell’americano Stan Kroenke. da https://sport.periodicodaily.com

sabato 4 settembre 2021

ARTICOLO. Arsenal, storia di un’autodistruzione.

Ci vogliono anni per arrivare al trionfo e ce ne vogliono di più per finire in disgrazia. Guardando l’Arsenal perdere 0-5 contro il Manchester City, viene da pensare ai diversi significati della parola catastrofe: ce n’è uno per definire i terremoti e gli uragani, gli tsunami e le eruzioni vulcaniche, le rovine improvvise e imprevedibili che ci faranno sentire sempre ospiti su questo pianeta; ce n’è un altro che viene invece dalla Poetica aristotelica e che indica la parte di tragedia «dove si risolve, sboccando al tragico compimento, la situazione che forma argomento di ogni singolo dramma». L’Arsenal è una catastrofe, in un senso e pure nell’altro.

Quando Mikel Arteta è stato scelto come nuovo head coach dei Gunners, nessuno avrebbe potuto immaginare che avrebbe trasformato la squadra nella cosa fredda e banale che è adesso. «Fanno sempre questa cosa che noi abbiamo cominciato a chiamare “la ciambella”, questa staffa di cavallo di nulla infinito… non fanno altro che passaggi su passaggi finché il tempo stesso smette di esistere», questa la descrizione che JJ Bull di Tifo e The Athletic ha fatto dell’Arsenal di Arteta in un video intitolato Che cos’ha che non va l’Arsenal? Ma come spesso – sempre – succede nel calcio, in campo si vedono soltanto i sintomi di una malattia che prospera altrove. I tifosi dell’Arsenal la loro spiegazione già ce l’hanno: la colpa è dei Kroenke, del padre Stan e del figlio Josh, il primo presidente distante e disinteressato, il secondo non-executive director messo nel consiglio di amministrazione della società con il mandato di proteggere gli interessi del padre. Interessi del padre che non sono quelli dell’Arsenal, ovviamente: la holding Kroenke Sports & Entertainment ha nel nome le sue priorità. La decisione di unirsi alla Super Lega, presa da Kroenke senior e junior ad aprile, non ha fatto che aggiungere gradi di separazione tra Arsenal e Gooners (il nomignolo con cui si chiamano i tifosi biancorossi) e confermare il disprezzo che i tifosi di mezza Inghilterra provano per le proprietà americane. La Dichiarazione d’Indipendenza, alla fine, è ieri.

L’Arsenal è la squadra europea che ha speso di più nella sessione di calciomercato appena conclusa: 166 milioni di euro per sei acquisti. I Kroenke saranno disinteressati ma non sono spilorci, almeno questo gli va riconosciuto. Nuno Tavares, Sambi Lokonga, Ben White, Martin Odegaard, Aaron Ramsdale e Takehiro Tomiyasu. Fa impressione leggere questi numeri e questi nomi e pensare ai tempi in cui i due consoli che si dividevano il governo della Repubblica dei Gunners bisticciavano sull’ingaggio di Sol Campbell: Arsène Wenger pensava che 140mila sterline alla settimana per il difensore più forte d’Inghilterra, nonché capitano dei nemici del Tottenham, fossero davvero troppi; David Dein, ex-vice presidente dell’Arsenal e uomo fortissimo del calcio inglese tutto, Campbell lo prese. E pure Petit, nonostante Wenger temporeggiasse, come suo solito, anche sull’ingaggio del biondo centrocampista suo connazionale. E pezzo dopo pezzo, nonostante l’ossessione per l’allocazione efficiente delle risorse di quell’economista mancato (per scelta, Wenger la laurea in economia ce l’aveva) che si era scelto come allenatore, costruì l’Arsenal più vincente della storia. Era anche il più adorato. E il più ricordato. La loro, quella di Dein e Wenger, era la stessa opinione divisa in due parti uguali: un’armonia che all’Arsenal non si sente più.

Da quando David Dein ha lasciato l’Arsenal nel 2007, alla fine di una riunione del consiglio di amministrazione della società che meriterebbe un romanzo a parte, i Gunners sono stati inghiottiti dal buco nero che quell’anno, anno dopo anno, si è allargato a partire da dove prima stava il cuore. Prima Dean, poi Wenger e nel mezzo tutti quelli che avevano lavorato con loro per trent’anni: quando il chief executive Ivan Gazidis disse grazie e arrivederci a Steve Rowley, capo degli osservatori scelto da Wenger nel 1996, fu chiaro che dell’Arsenal che era stato fino a quel momento non sarebbe rimasto nulla. «Un re è un re. E ai re cosa si fa? Si decapitano», come dice il professor Barbero. La storia dell’Arsenal si è fermata a quella decapitazione. Alla fine della stagione 2017/2018 Gazidis riuscì a spazzar via un Ancien Régime di cui ormai rimaneva soltanto Wenger, le cui ossessioni e nevrosi avevano ormai preso il sopravvento da un pezzo: senza Dean l’allocazione efficiente delle risorse era diventato il punto, e ormai non riusciva più a stemperare l’amaro nella bocca dei tifosi vantando la migliore Academy d’Inghilterra (“embè?” era la risposta più educata che riceveva quando si azzardava a ricordare questo primato).

In quel momento, per un momento, l’Arsenal sembrava destinato a diventare il club più avveniristico d’Inghilterra e quindi d’Europa: Sven Mislintat, il genio della statistica che aveva rivoluzionato le campagne acquisti del Borussia Dortmund, fu chiamato da Gazidis a sostituire Rowley nella posizione di head of recruitment; Darren Burgess, high performance manager, fu messo a capo dei preparatori atletici; Raul Sanllehi fu scelto come uomo-mercato, certi che tutti i numeri che valesse la pena chiamare fossero scritti a mano nella sua leggendaria agendina nera; Vinai Venkatesham si sarebbe occupato di tutto quello che non era calcio ma serviva a finanziare tutto quello che era calcio; del campo di sarebbe preoccupato uno degli allenatori rampanti dell’epoca, Unai Emery del Siviglia e dell’Europa League. E l’Emirates, con quel prato verde e liscio come il panno di un tavolo da biliardo, sarebbe stato il teatro di questo potente spettacolo diretto da Ivan Gazidis, il nuovo David Dean arrivato a Londra per portare il calcio nuovo, il mondo nuovo: come all’epoca gli piaceva definirlo, «l’approccio continentale». Chi un poco conosce l’Inghilterra, sa che continentale, da quelle parti, non è una parola leggera.Mikel Arteta è arrivato all’Arsenal nel dicembre 2019; da allora, ha guidato i Gunners per 90 partite totali, accumulando 46 vittorie, 18 pareggi e 26 sconfitte.

L’Arsenal che adesso è ultimo in Premier League, che ha perso le prime tre partite della stagione, che ne ha presi cinque dal Manchester City, è quello che resta di una rivoluzione che si è fermata al rotolio delle teste sulla strada. Il primo dicembre del 2018 Gazidis diventa il chief executive del Milan: non spiegherà mai le ragioni della scelta di lasciare l’Arsenal, forse perché non aveva motivo di spiegare la natura della sua professione. Gazidis è un manager, mette a posto aziende scassate: sistemata una, passa all’altra. Probabilmente era convinto di lasciare a Londra un monumento a se stesso: fermo, solido, stabile. Ma, partito lui, il potente spettacolo che doveva essere finisce ancor prima di cominciare: Mislintat lascia circa un anno dopo per tornare in Germania, allo Stoccarda; Emery viene esonerato il 29 novembre del 2019, dopo una sconfitta (proprio) in Europa League, 1-2 contro l’Eintracht Fraconforte; Sanllehi ad agosto del 2020 se ne va a Barcellona. I quattro uomini ai quali era stata affidata la costruzione dell’Arsenal nuovo, spariti due anni dopo aver sparso il sale su una gestione durata trent’anni. Tutte le responsabilità che Gazidis aveva così minuziosamente suddiviso secondo i dettami dell’adorato approccio continentale sono così trasferite a Edu, ex-centrocampista dell’Arsenal e ora technical director forte solo di un’esperienza come direttore sportivo del Corinthians; e a Mikel Arteta, assistant coach che ora che è head coach sta scoprendo quanta differenza possa fare una parola soltanto (qual è la differenza tra un tattico brillante e un bravo allenatore? Arteta). Di nuovo, l’Arsenal sta in due uomini. Ma David Dean non c’è, Arséne Wenger nemmeno.
Più che sul campo, l’Arsenal di questo momento sta in un movimento di calciomercato. Una cessione, per l’esattezza, avvenuta in quest’ultima sessione: quella di Willian al Corinthians. Un anno fa, il centrocampista brasiliano era arrivato all’Arsenal per dimostrare un punto: non più solo giovani promettenti, adesso anche campioni affermati, giocatori esperti, calciatori pronti. Un anno dopo, Willian rinuncia ad altri due anni di un ricchissimo contratto pur di andarsene dalla parte biancorossa del Nord di Londra. Commentando il ritorno a casa del suo ex-compagno di squadra al Chelsea, Didier Drogba ha scritto su Twitter: «Grazie, agente Willian. La tua missione è terminata. Come quella di David Luiz e quella di Petr Cech». di https://www.rivistaundici.com