Gli italiani che tifano Arsenal (di Giovanni Tarantino)
«Mica ti posso portare a vedere l'Arsenal tutte le volte che vengo a Londra ,speravo l'avessimo superata questa fase…La risposta: «Noi non supereremo mai questa fase».Questo botta e risposta tra un padre e un figlio appassionatissimo di calcio e tifoso dell’Arsenal, una delle principali squadre di Londra, è un celebre passaggio del libro di Nick Hornby Febbre a 90 (pubblicato per la prima volta in Italia nel 1997 dalle edizioni Guanda) nonché della trasposizione cinematografica del libro realizzata da David Evans.A giudizio di molti quella frase incarna pienamente lo spirito del tifoso ossessionato, di chi segue ad ogni costo la propria squadra, soffre e gioisce a seconda delle circostanze e dei risultati ma è comunque sempre presente e dà alla squadra di calcio per cui fa il tifo –o meglio dire a cui “appartiene”- un’importanza assolutamente prioritaria rispetto a tutte le altre cose della vita. E’ proprio il caso di Paul, protagonista di Febbre a 90, che se da bambino aveva risposto al padre Noi «non supereremo mai questa fase», da trentacinquenne professore di Lettere in una scuola manterrà quella sua promessa vivendo in maniera burrascosa la sua storia d’amore con Sarah, proprio a causa dell’Arsenal, che viene prima di tutto e che è la cosa più importante.Un modo di intendere il tifo assolutamente in stile inglese, ma che non lascia indifferenti i tifosi italiani, molti dei quali garantiscono di dare il possibile per la squadra che seguono ovunque e comunque. Non a caso il libro di Hornby ha avuto un grandissimo successo proprio in Italia dove quest’anno il libro è andato in ristampa ancora per i tipi di Guanda.Un numero sempre maggiore di lettori si riconoscono nelle vicende descritte da Hornby che raccontano, da diverse latitudini, la “febbre” per il calcio.Molto probabilmente, tra i lettori di Hornby, ci saranno anche quel manipolo di fans dell’Arsenal, tutti italianissimi, che dal 2000 hanno dato vita all’Arsenal Italy Supporters Club. Nati “tra la via Emilia e Highbury” per volontà di Stefano Maini, attuale presidente del club, gli Italian Gooners (Gunners è il soprannome dei tifosi dell’Arsenal il cui emblema è, appunto, il cannone) sono soliti andare al seguito della loro squadra del cuore in giro per il mondo, una squadra che dista 3000 km da casa. Provengono da diverse parti d’Italia, da Foggia a Udine, passando per Roma, Pisa fino a Padova, portano il tricolore all’Highbury, lo stadio dell’Arsenal, ma se ne infischiano di tifare per le squadre italiane se queste incontrano il loro amato Arsenal. Internet ha potenziato le comunicazioni e creato un ponte autentico per le conoscenze e recentemente gli Italian Gooners si sono incontrati a Mirandola, in provincia di Modena: le foto e i resoconti sono visionabili sul sito arsenalitaly.wordpress.com . Se li conoscesse Nick Hornby certamente dedicherebbe qualche riga a questi italiani matti per l’Arsenal.Ma non è tutto. L’Italia è un vero e proprio centro di appassionati di squadre straniere: è anche il caso dei tifosi del West Ham, altra squadra di Londra, e che sempre grazie al web, si ritrovano sul blog westhamitalianfans.blogspot.com . Sempre nel 2000 invece è nato il club italiano di tifosi dell’Athletic Bilbao, squadra basca dalle maglie biancorosse che come poche incarna lo spirito di un calcio d’altri tempi: nessuno straniero in campo ma solo figli dell’ Euskal Herria, nessun presidente-dittatore, nessuna ossessione televisivo-affaristica, totale fedeltà a una maglia tuttora non macchiata da alcun logo pubblicitario e che tuttavia non è mai retrocessa dalla serie A spagnola, al pari di multinazionali come Barcellona e Real Madrid. Frutto della passione per i baschi è anche il libro che il fondatore del club, Simone Bertelegni, ispanista e giornalista free lance, ha dedicato all’Athletic, dal titolo L'ultimo baluardo (Limina, pagine 264, € 13.50).La “febbre per il calcio”, appare ovvio, travalica ogni confine e non deve sorprendere che non siano solo le squadre maggiori ad essere seguite. Può capitare, a volte, di appassionarsi, inspiegabilmente agli occhi dei più, a realtà secondarie come nel caso di quei tifosi interisti, milanesi e frequentatori abituali di curva, che hanno dato vita ad un club di tifosi dello Stoke City , squadra di Stoke-on-Trent, cittadina del nord-ovest inglese, “scoperta” da Alessandro Polenghi, uno dei componenti di una community di interisti sul web, www.interistiorg.org, famosa per commenti esilaranti sul mondo del calcio, nonché proprietario di un pub a Milano, dal nome british, Four four Two, frequentatissimo da turisti inglesi assolutamente incuriositi e stupiti mentre immortalano con foto-ricordo il pub dei “tifosi italiani dello Stoke”.La ragione di tutte “queste pazze fedi”, come recitava il titolo di un libro di Tim Parks (a proposito, un inglese che tifa per l’Hellas Verona) è semplice: il calcio è uno sport e uno spettacolo che non hanno confini territoriali. L’identificazione del tifoso è con la squadra prima ancora che con le città: ci si innamora pertanto delle maglie, dei colori, di alcuni giocatori e di straordinari gesti atletici, ci si affeziona a delle storie che poi diventano leggende e che adesso, grazie anche al supporto offerto da internet, si diffondono in maniera molto più veloce che in precedenza. La passione alimenta il tifo e questo avviene ad ogni latitudine del mondo e verso qualunque squadra.Lo dimostra, tra gli altri, anche l’ottimo saggio dello storico contemporaneista inglese che si cela dietro lo pseudonimo di John Foot, Calcio. 1898-2007, Storia dello sport che ha fatto l’Italia (Rizzoli, pagine 623, € 23): una monumentale opera sul calcio nostrano, nonché un’autentica enciclopedia realizzata proprio da un inglese, caso di passione extra-territoriale inversa rispetto ai casi citati in precedenza, attento studioso della storia del calcio italiano, ai suoi cambiamenti e all’influenza che questi hanno avuto sulla vita degli italiani.“La mia patria è dove si combatte per le mie idee” diceva qualcuno che intendeva anteporre i valori e le idee alle appartenenze territoriali e campanilistiche.Ben detto per il nostro discorso sul calcio: non sorprenda quindi se quella frase sarà l’emblema delle “legioni straniere” di tifosi.