martedì 14 luglio 2009

John Hartson ha un tumore al cervello.

John Hartson, 34 anni, ex nazionale gallese di calcio, ha un tumore al cervello. Lo ha annunciato in un comunicato l'ospedale londinese dove il giocatore è in cura. Hartson ha vestito per 51 volte la maglia della sua nazionale, a livello di club ha giocato in parecchie squadre tra cui Arsenal, West Ham e Celtic, dove ha giocato per cinque stagioni prima di ritirarsi a febbraio 2008. Hartson, dopo il ritiro diventato commentatore televisivo, sarà adesso sottoposto a sedute di radioterapia e chemioterapia. da http://sport.repubblica.it/Caro John, questa battaglia la devi proprio vincere.
Destinato a lottare, sempre e comunque: la vita di John Hartson è stata una lotta al coltello fin dall'inizio. Ha lottato per emergere tra i giovanissimi del suo quartiere, ha lottato con i pregiudizi degli inglesi, lui... gallese di successo nella terra dei ricchi; ha lottato e molto in campo contro difensori costretti a qualsiasi fisicità per avere ragione del suo 1.86 e dei suoi 84 chili. Anche ora, fuori dal campo Hartson è costretto a lottare. E non con il gran mal di testa che fastidioso e insistente lo corrodeva da qualche giorno: perché al primo controllo in ospedale lo hanno subito sottoposto a un ciclo di chemioterapia intensiva. Un tumore ai testicoli non individuato aveva già portato conseguenze al cervello. Hartson è già prima linea: "I know I can win this", ha scritto agli amici che gli facevano coraggio. E ce ne vuole tanto per vincere una battaglia così. Hartson ha vestito giovanissimo la maglia del mio Arsenal, e poi quella del mio Celtic. Ma non era solo per questo che lo adoravo: in campo era tutto quello che mi sarebbe piaciuto essere, fossi stato un giocatore di calcio. Incurante dei difensori, forte solo della sua testardaggine e del suo fisico impressionante. Un'esplosione di vitalità in un gioco estremamente elementare, fatto di forza, di sano agonismo. Di feroce determinazione. Rozzo, greve, sgrammaticato: e vincente. In Galles lo chiamavano "the miner", il minatore. Perché quelle mani grosse come badili sembravano rubate al lavoro di scavo: e neppure con i gomiti andava troppo per il sottile. Quando cominciò a giocare con il Luton, squadra operaia nella quale lottava come un veterano a dispetto dei suoi sedici anni, non passò molto tempo prima che l'Arsenal lo giudicasse l'uomo giusto per il suo calcio fisico, che richiedeva una boa a spigolare con i gomiti là davanti. Boring Arsenal, palla lunga: pedalare, e Hartson a sportellare come davanti al bancone del pub. "Fossi in te non lo farei" disse una volta a Sol Campbell che inaugurò il suo derby contro il Tottenham con una tacchettata dietro la caviglia. Si suonarono come tamburi, uscirono pesti e senza ammonizioni: e diventarono amici. "In campo combattevo il fuoco con il fuoco" dice di quelle sfide Hartson che in Sol, Rio Ferdinand e John Terry trovò avversari pronti a tutto per fermarlo. Ma animati anche da un grande senso di rispetto. "Non ho i piedi, non ho il talento - diceva - non ho la tecnica: ma in campo do tutto me stesso. Conosco solo questo modo per giocare a calcio. E se non lottassi così non sarei mai arrivato a giocare in Premier League". In realtà, lottatore nato, sapeva passare il pallone di prima, era un maestro del gioco di sponda, capace di vedere il gioco anche spalle alla porta, aprendo gli inserimenti dei compagni. E soprattutto colpiva di testa con una precisione impressionante, restando immobile, in una tecnica di sospensione che sembrava una levitazione più da giocatore di basket che da calciatore. Hartson in campo era così, un combattente, un lottatore nato consapevole che quello che non aveva in tecnica doveva mettercelo lui. Non si tirava indietro di fronte a nulla: quando nel Celtic un paio di ragazzini soffrivano il clima da corrida del derby con i Rangers, e si facevano da parte, arrivava lui. Volavano buffetti che lasciavano il segno, e zoccolate negli spogliatoi. Ma nessuno con lui in campo faceva la voce grossa. Memorabili un paio di episodi: non sopportava di essere preso in giro per il suo accento, e visto che anche in Inghilterra parlava in gallese stretto, lo prendevano in giro spesso. Fino al primo contrasto: "Bastava spalmarsi contro la sua schiena e trovare i suoi gomiti sulle costole per portargli un pochino più di rispetto" dice Fernando Ricksen, che scatenò con lui una rissa furibonda in un derby nel quale furono espulsi entrambi. Hartson, che rischiò il riformatorio da ragazzo per via di una eccesiva predilezione per le scommesse che lo aveva portato anche a commettere qualche furtarello, ha trovato nel calcio la sua riscossa: e da ragazzo di borgata di un quartiere popolare di Swansea è diventato giocatore simbolo. Diventò il teen-ager più pagato di sempre del calcio inglese, passando dal Luton all'Arsenal. Con quasi 4 milioni di sterline fu il giocatore più pagato dal West Ham segnando 33 gol in 73 partite. Nel 2001 passando al Celtic per 6 milioni di sterline, vince molto e diventa un idolo: 88 gol in cinque stagioni. Gli manca l'aggancio ai Mondiali: lui e Giggs, così diversi, ce la mettono tutta ma non riescono a far volare i draghi. Qualche trasferimento minore, sempre lottando e segnando: West Bromwich, Nottingham, Norwich; poi il ritorno a Swansea dove nel febbraio dell'anno scorso Hartson chiude l'armatura nell'armadio. Si trasforma in un divertente opinionista in una trasmissione in lingua gallese, Sgorio, in onda su una tv privata: amato sul campo, amatissimo sugli schermi dove diventa incredibilmente educato, gentile, affabile. Persino elegante. Ma sempre tagliente nei suoi giudizi. "I know I can win this" ci ha detto Hartson, il combattente. Io ci credo: e glielo auguro di tutto cuore. 
di Stefano Benzi, da http://it.eurosport.yahoo.com/stefano-benzi/

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