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giovedì 4 aprile 2013

La nuova vita del primo stadio dell'Arsenal Un residence di lusso sostituisce il campo.

Un parcheggio sotto un vecchio stadio? A Londra ci si è riusciti in tre anni. A Roma il tentativo è fallito tra intrecci burocratici e dispute legali. Nel quartiere Testaccio, dove giocò la gloriosa Roma degli anni Trenta, il progetto prevedeva 265 posti auto coperti da un campo da calcio e due da calcetto per la piccola società sportiva As Testaccio. Anche a Londra hanno costruito un parcheggio sotto un vecchio e glorioso campo di calcio. Ma la differenza non la fanno solo i tempi di realizzazione. Qui il parcheggio è solo una parte di un progetto di recupero molto più ampio. Nel 2006 l'Arsenal, la gloriosa squadra di calcio londinese, ha abbandonato il campo dove giocava dal 1913 per trasferirsi a poche centinaia di metri. La nuova casa si chiama Emirates Stadium. Una struttura moderna e multifunzionale da sessantamila posti. E così l'Highbury Stadium si è trasformato in Highbury Square.Quello che era uno stadio da 38000 posti ora è un complesso residenziale da 650 appartamenti e attici di lusso, tra i quali 70 a prezzo calmierato. C'è il portiere 24 ore su 24, il centro fitness e - appunto - il parcheggio sotterraneo. Tutto è stato realizzato seguendo un principio: modificare il meno possibile la struttura originaria. Al posto delle gradinate - che sono state parzialmente demolite e ricostruite - ora ci sono gli appartamenti. Il campo di gioco, che per anni è stato il palco sul quale si sono esibiti Tony Adams, Dennis Bergkamp, Thierry Henry e Patrick Vieira è stato "porzionato" in tanti piccoli giardini condominiali. Il rettangolo verde è rimasto al centro del progetto, perché tutti gli appartamenti hanno almeno una vetrata che guarda i giardini. Ad Highbury molto è stato fatto per conservare la memoria. Le facciate delle storiche tribune East Stand e del West Stand - in art déco - sono state conservate così com'erano. Gli stanzini delle biglietterie sono stati tirati a lucido e restituiti com'erano. È rimasto intatto anche il tunnel di ingresso al campo. Tempo di realizzazione: poco più di tre anni. I Gunners hanno giocato l'ultima partita ad Highbury nel maggio 2006 (Arsenal-Wigan 4-2, con tripletta dell'attaccante francese Henry); il 24 settembre 2009 Highbury Square è stata ufficialmente completata. Il progetto potrebbe non piacere ai puristi. In fondo, un glorioso stadio di calcio è stato trasformato in uno spazio privato, destinato ai pochi e facoltosi inquilini del complesso. In questo modo, però, è sopravvissuto un pezzo di storia della città - noto anche a chi non segue il campionato inglese grazie aFebbre a 90°, il libro nel quale Nick Hornby ha raccontato la sua vita da tifoso dei Gunners - conservando una struttura molto simile all'originale e rispettando la memoria di ciò che è stato per quasi un secolo. Perché - anche se il museo del club si trova al nuovo Emirates - Highbury rimane un patrimonio della storia del calcio: in questo stadio non ha dato spettacolo solo l'Arsenal di Arséne Wenger, ma anche quello di Herbert Chapman, coach dal 1925 al 1934 e inventore del "Sistema", il modulo tattico con tre difensori in linea, due mediani, due mezzeali e tre punte. Il papà del modernissimo 3-4-3. Mentre a Londra l'Arsenal di Chapman vinceva due campionati e una coppa d'Inghilterra con uno schieramento che avrebbe fatto scuola in tutta Europa, la mitica Roma di campo Testaccio spaventava gli squadroni del nord. E proprio un testaccino doc, il romanissimo Attilio Ferraris IV, fu uno degli "eroi di Highbury". La celebre partita di calcio tra i maestri inglesi - che il calcio lo hanno inventato - e gli azzurri campioni del mondo di Vittorio Pozzo, che in dieci uomini e in svantaggio di tre gol sfiorarono l'impresa arrivando fino al 3-2. Meritandosi gli applausi del pubblico londinese.  Per battere gli inglesi nella loro tana bisognerà aspettare il 1973, quando l'Italia vinse a Wembley con un gol di Fabio Capello. Calciatore, e poi allenatore, che i tifosi romanisti conoscono molto bene.

lunedì 28 gennaio 2013

Arsenal, Usmanov vs. Kroenke

“Il più grande risultato ottenuto da Wenger in questi ultimi 10 anni è stato quello di aver creato due squadre: quella che gioca nelle formazioni rivali fatte dai nostri giocatori ceduti e quella che tenta di restare nell’elite della Premier League”. Intervistato dall’Equipe, Alisher Usmanov, detentore di meno del 30% delle azioni dell’Arsenal, come già l’estate scorsa non lesina critiche nei confronti della politica del club e del suo azionista di maggioranza, l’americano Kroenke, quella politica che ha portato i Gunners a cedere negli ultimi anni tutti i pezzi migliori. I Gunners, che non vincono nulla dal 2005 (FA Cup), hanno venduto negli scorsi anni giocatori del calibro di van Persie, Fabregas, Nasri, Song e Clichy. Il russso Usmanov non ci va leggero con l’azionista di maggioranza. “Thierry Henry – racconta – mi ha incitato a ricominciare a comprare per portare nuovi trofei nella nostra bacheca”. Non è la prima volta che Usmanov attacca Kroenke, interpretando i malumori della tifoseria gunner. “E’ impensabile – dice il russo – che gli azionisti abbiano salari folli mentre, grazie a piccole clausole nei contratti, perdiamo giocatori chiave, simboli come van Persie, Flamini o Vieira. Dovremmo aumentare loro gli ingaggi quando cominciano a essere corteggiati o a guardarsi attorno. Non capisco perchè non lo si faccia. Credo che l’Arsenal dovrebbe avere un unico obiettivo quando affronta qualunque competizione: il primo posto. Tutto il resto è ipocrisia. Se qualcuno ha bisogno del mio aiuto, i miei soldi e i miei contratti, io sono sempre a disposizione. Penso che Wenger meriti di essere in grado di assumere, se necessario, i migliori giocatori e non accontentarsi di vendere le nostre stelle alle squadre avversarie. Ma al momento è sacrificato a causa della politica del club. Tutto è nelle mani di Kroenke. Gli auguro successo, ma non condivido le sue idee”.
di Paolo Avanti, da http://inthebox.gazzetta.it

Gli insuccessi di mercato di Arsene Wenger

Non è che Arsene Wenger dice delle bugie quando afferma:” c’è una forte concorrenza ormai nello scouting dei giocatori. Eravamo concorrenziali sul mercato francese, ma oggi la Francia “produce” meno giocatori di altissimo livello rispetto a 10 o 15 anni fa, ora i mercati di riferimento possono essere la Spagna, la Germania e il Giappone”. Sullo stato del mercato dei giovani in Francia, sicuramente ha ragione, ma non è una giustificazione per quello che ha fatto Wenger nelle recenti campagne acquisti. E’ vero che Spagna, Germania e Giappone possono essere i nuovi mercati di riferimento, ma a noi sembra che lui per ora abbia fallito riguardo a qualsiasi mercato al quale si è rivolto.In questo momento è facile lodare il sistema di scouting del Newcastle, che non fa altro che metter ancora di più in luce gli errori di Wenger. Il Newcastle ha acquistato Ben Arfa, Debuchy, Yanga-Mbywa, Cabaye e Moussa Sissoko, a prezzi assolutamente concorrenziali anche per l’Arsenal. Presi invece da altri mercati europei, sia Cheik Tiotè che Papiss Cisse si sono dimostrati utili e funzionali più di quanto non abbiano fatto all’Arsenal Podolski e Diaby. Wenger si è più volte autocelebrato per aver preso Chamakh a costo zero, senza pagare i cinque milioni di sterline che invece avrebbe dovuto pagare se lo avesse preso la stagione precedente. Ma visto quello che ha fatto il giocatore all’Arsenal, anche solo pagargli lo stipendio è un insuccesso…. Olivier Giroud, che non riesce a fare un solo gol di testa, è sopravvalutato per quello che sta facendo vedere. Senza poi parlare del “grande elefante bianco”, Andrei Arshavin, per il cui acquisto e la presenza in campo ancora in alcune partite non ci sono scuse che tengano. Wenger in questi ultimi anni non ha più smesso di sperperare soldi inutilmente, da Squillaci, che non fa altro che scaldare la panchina, ad Andre Santos, acquistato dal Fenerbahce. Il brasiliano è il classico giocatore che quando è messo in mezzo al campo non è abbastanza valido come centrocampista, e quando è retrocesso in difesa non è abbastanza buono come difensore. Meglio forse riprendere Nelson Vivas allora. Ma non guardiamo soltanto a Santos, ma anche ai milioni spesi per Mertesacker e Koscielny, che certo hanno qualità, ma la mostrano solo ad intermittenza e Vermaelen, che non vale i soldi spesi. Se guardiamo in attacco poi, la situazione non è migliore. Wenger ha speso 22 milioni di sterline per prendere Gervinho e Giroud, ma il primo non ha reso come dovuto, mentre il secondo ha dimostrato che, senza Belhanda dietro a fornirgli assist come l’anno scorso a Montpellier, non è poi sto gran giocatore. Sulla sinistra Podolski si è dimostrato un buon giocatore, nella media però, nulla di eccezionale. Certo, non possiamo dire che Wenger compra solo “spazzatura”, perché non è così. Basta guardare agli acquisti di Oxlade-Chamberlain, Santi Cazorla e Mikel Arteta. Se però Wenger dice che ormai certi mercati non sono più appetibili e bisogna guardare ad altri, beh forse meglio spendere in maniera più appropriata e oculata i soldi del club su questi mercati alternativi. di Luca Ferrato da http://scommesse.unibet.com

lunedì 21 gennaio 2013

Wenger: "Non possiamo più permetterci di perdere punti"

E' dalla stagione 1997/98 che l'Arsenal FC non manca dalla fase a gironi di UEFA Champions League, ma dopo la sconfitta di domenica in casa del Chelsea FC questa serie di 15 partite potrebbe davvero terminare. Avendo pareggiato per 1-1 con il Southampton FC e perso 2-0 contro il Manchester City FC a inizio mese, i Gunners sono andati a Stamford Bridge con un solo punto collezionato nel nuovo anno -  e non ne sono stati aggiunti altri  dato che le reti di Juan Mata e Frank Lampard hanno regalato il successo per 2-1 ai padroni di casa. Come risultato, l'Arsenal, sesto, ha sette punti di distanza dai rivali londinesi del Tottenham Hotspur FC, al momento in quarta posizione. Questi sette punti di distanza non sono l'unica preoccupazione per il tecnico Arsène Wenger, dato che gli Spurs non sono i soli a puntare al quarto posto valido per l'accesso alla UEFA Champions League. L'Everton FC, che per tradizione conclude in positivo le proprie stagioni, ha tre punti di vantaggio sull'Arsenal, mentre Liverpool FC e West Bromwich Albion FC hanno lo stesso punteggio, anche se hanno giocato una partita in più."Non possiamo permetterci di perdere altri punti se vogliamo finire tra le prime quattro", ha commentato Wenger, che nel 2006 ha portato la sua squadra in finale di UEFA Champions League. "E' un problema. La classifica è quella che è. Abbiamo perso due partite importanti nell'ultima settimana [contro Manchester City e Chelsea] e questo ci danneggia molto. E' molto problematica la nostra posizione in classifica, e molto dura da digerire". Il francese crede comunque che la sua squadra abbia le qualità sufficienti per finire tra le prime quattro, come fatto nella seconda parte della scorsa stagione. "C'è un ingrediente di sicuro", ha detto. "C'è un grande spirito di squadra. E' una grande qualità. La squadra deve credere di più nelle qualità che ha. Lo si è visto in dieci contro il City e oggi che possiamo dominare le partite. Dobbiamo farlo fin dall'inizio". Se non dovessero farcela, i Gunners si augurano di fare come il Chelsea, che pur avendo chiuso al sesto posto la Premier League la scorsa stagione ha vinto la UEFA Champions League, battendo l'FC Bayern München in finale e scippando al Tottenham il quarto posto valido per la qualificazione all'edizione attuale. Con il Bayern che attende i londinesi agli ottavi di finale il mese prossimo, la stada sembra però tortuosa anche in Europa. Se Wenger vuole portare nuovamente la sua squadra nella terra promessa, dovrà superarsi e far vedere di che pasta è fatto. da http://it.uefa.com

sabato 8 dicembre 2012

All'Emirates la partita è festa

Mentre i tifosi italiani fuggono dagli stadi, quelli inglesi e tedeschi li riempiono e si mettono in lista d'attesa per entrarci. Ma cos'avranno di così speciale le astronavi che, qui da noi, il pubblico sogna e i presidenti tentano disperatamente di studiare? Un weekend all'Emirates Stadium, la casa dell'Arsenal dal 2006, può aiutare a capire. A una condizione: vivere l'esperienza da tifoso, senza i filtri degli uffici stampa. Perdonate l'"io" ma da questo momento svesto i panni del giornalista e passo dalla parte del pubblico.
Una veduta esterna dell'Emirates Stadium.
Una veduta esterna dell'Emirates Stadium.
VIGILIA — Arrivo a Londra il giorno prima della partita di Premier con il Swansea. Il tour dell'Emirates, imponente nella sua solitudine, è d'obbligo. Per un soffio manco la visita accompagnata da una leggenda dei Gunners: sì perché una volta al giorno, all'ora di pranzo, a fare da Cicerone è un ex calciatore, da John Radford a Lee Dixon. C'è tanta gente in coda, compresi una ventina di studenti. Armato di un'audioguida, disponibile in otto lingue, inizio il percorso in piena autonomia, altra novità introdotta di recente per soddisfare chi detesta i gruppi. Dagli spogliatoi al tunnel che conduce al campo, dalle sale esclusive al museo. Il sottofondo è un mix di informazioni, aneddoti, interviste che scorrono sul palmare in dotazione. Scopro che qui dove sorge l'Emirates c'era un centro di riciclaggio che l'Arsenal ha dovuto ricostruire altrove. Tirar su questa meraviglia non è stata una barzelletta. I costi iniziali di 200 milioni di sterline sono schizzati alla fine a 390 perché non si è trattato solo di edificare il nuovo impianto da 60 mila posti ma pure di riqualificare l'intero quartiere di Islington. Solo fondi privati, con un pool di banche a condividere il rischio perché la scommessa aveva una ragion d'essere. L'Arsenal non solo sta ripagando i debiti senza rinunciare a bilanci in attivo ma ha pure sviluppato una branca immobiliare: la vendita di oltre 600 appartamenti sorti sul vecchio Highbury ha generato profitti per più di 100 milioni di sterline, e c'è ancora in ballo un progetto di edilizia popolare a Queensland Road. I ricavi da stadio sono passati da 44 a 94 milioni di sterline e il fatturato dei Gunners è il quinto più alto in Europa. Ma non ci sono solo i risultati economici. C'è una passione che si è rinnovata mischiando riti antichi e modernismo. Il giorno della partita è qualcosa di speciale. A cominciare dalle tappe d'avvicinamento al fischio d'inizio. Decido di mettermi in cammino due ore prima, in un classico sabato consacrato al calcio. Transitando dalla stazione di St Pancras, uno degli snodi della capitale inglese, non si può non notare lo zigzagare di sciarpe e cappelli dai mille colori: sono i tifosi di questa o quella squadra diretti al Loftus Road o al Craven Cottage o ancora più fuori. Ma Londra, con 10 team fra Premier e Championship, fa storia a sé. E l'invidia per questo melting pot del tifo non è solo italiana. Quando, però, sulla metro un ragazzo si toglie la felpa e resta con la maglia del Swansea, andandosi ad accomodare accanto a un visibile Gunner, l'invidia sale eccome. E cresce ancor di più fuori dalla fermata di Arsenal: bancarelle di merchandising biancorosso, rigorosamente autorizzato, altro che tarocchi. La processione verso lo stadio è ordinata e gioiosa assieme. Quel che colpisce è la normalità: la polizia c'è ma resta discreta, vengo persino inghiottito da una contestazione animata da alcune centinaia di tifosi dell'Arsenal, che ce l'hanno con le recenti politiche societarie, inclusi i prezzi troppo alti dei biglietti. Ma l'atmosfera, in generale, è quella di una festa.

Costato 390 milioni di sterline, il tempio dei Gunners ne ricava 94 all'anno. Fuori si vendono solo prodotti ufficiali
PAPÀ E FIGLIO — Tante, tantissime famiglie, tanti, tantissimi bambini. Come Gary McCarthy, che tifa Qpr ma porta all'Emirates il figlio Lewis, 12 anni, fedelissimo dei Gunners: "È bello arrivare 1-2 ore prima del match, visitare il negozio, magari pure il museo (aperto anche nel giorno della gara, ndr), mangiare un burger, seguire il riscaldamento dei giocatori. Mi sento molto sicuro a portare mio figlio allo stadio, vent'anni fa non l'avrei fatto. Rispetto ad Highbury la vista è fantastica da tutti i punti. Inoltre, con la red card, abbiamo la priorità per l'acquisto dei biglietti, con sconti per le famiglie, e possiamo partecipare agli eventi del Junior Gunners come la festa di Halloween organizzata dentro lo stadio". Il pre-partita è un piatto ricco. The Armoury, il gigantesco negozio dell'Arsenal, viene preso d'assalto: la prima maglia di gioco costa 45 sterline, un prezzo ragionevole in relazione al costo della vita, e puoi personalizzarla sul momento. Per accedere all'interno dell'impianto c'è un solo controllo, niente zone di filtraggio. Passo allo scanner il biglietto acquistato da un sito di ticketing internazionale - avevo tentato coi canali ufficiali, ma lo stadio è sempre sold out e le poche scorte sono riservate ai membri -, incasso un sorriso dallo steward e il tornello si apre. Mi trovo nel settore più popolare, con un posto dietro alla porta e il seggiolino imbottito da Vip, in mezzo ai sostenitori del Swansea che si ostinano a restare in piedi. In Inghilterra la battaglia contro la violenza è stata vinta a tal punto che la Football Supporters' Federation ha lanciato una campagna per ripristinare le "standing areas", come già avviene in Bundesliga. Prima del match c'è stato il tempo di assistere sugli schermi posizionati nel ventre dello stadio agli ultimi minuti di West Ham-Chelsea, addentando un pie e sorseggiando una birra. Blitz veloce ai bagni (ce ne sono 900), incredibilmente puliti e non maleodoranti. Comincia lo spettacolo, fa freddo ma senti il calore di un'esperienza collettiva e totalizzante. Unica.
di Marco Iaria, da http://www.gazzetta.it

domenica 25 novembre 2012

Un libro nel pallone, così febbre a 90' ha creato il calcio per le classi medie

DALLA pubblicazione di Febbre a 90' , nel lontano 1992, il calcio inglese è molto cambiato, anche se in realtà sono successe più cose negli ultimi vent' anni che in tutti i precedenti settanta o ottanta. Le partite sono diventate più veloci e più belle, i giocatori sono più in forma e più bravi. I nostri stadi sono più sicuri, ma i biglietti maledettamente cari e più difficili da trovare,e così gli spettatori sono più vecchi, e meno scalmanati. Quasi tutti i giocatori della Premier League dell' ultimo decennio sono plurimilionari per definizione, mentre nei primi anni Novanta il calciatore inglese più dotato, Paul Gascoigne, giocava nel campionato italiano, decisamente più ricco e più glamour. Ma ormai sia la lira, sia la serie A, hanno smesso di luccicare. Abbonandoti a un canale sportivo via cavo puoi vedere due o tre partite al giorno, in ogni angolo d' Europa. È più facile guardare un match della Premier League a New York o alle Canarie che a Londra, e in ogni bar del mondo c' è sempre qualcuno con cui parlare della lampante cocciutaggine di Arsene Wenger nel calciomercato estivo. La mia squadra del cuore, un tempo così triste e quasi impossibile da amare, è diventata un simbolo di perfezione estetica, e ha vissuto, forse, il periodo più grandioso della sua storia; per quasi un decennio, gli irripetibili anni tra il 1997 e il 2006, un sabato sì e uno no potevo vedere all' opera nell' Arsenal il fior fiore del calcio mondiale. Dietro questi cambiamenti ci sono un evento, la strage di Hillsborough, e un uomo, Rupert Murdoch. Dopo Hillsborough, infatti, si è dovuto per forza ammettere che qualcosa andava fatto - che quelle enormi, fatiscenti gradinate di calcestruzzo non erano sicure e che uno svago pomeridiano non poteva includere il rischio di feriti, o addirittura di morti. Murdoch, invece, ha capito che accaparrandosi i diritti tv degli sport più seguiti del mondo le sue televisioni sarebbero diventate quasi più indispensabili del pane per una marea d' individui. Così ha inondato il calcio di soldi, e insieme ai bigliettoni sono spuntate le star straniere, e i club hanno aumentato i prezzi dei biglietti per pagare ingaggi stellari. Più di una volta mi è capitato di leggere un' altra versione su quegli anni, una versione secondo la quale parte delle responsabilità di quei cambiamenti spetterebbe al libro che avete in mano. Febbre a 90' , questa in breve la teoria, avrebbe venduto le partite di calcio alle classi medie rendendole le uniche in grado di permettersi di guardarle. Non sarebbe mica male, in fondo, poter rivendicare dei meriti in cambiamenti sociali e culturali tanto significativi, ma purtroppo non è così. Non è per essere modesto che dico che il proprietario di un impero mediatico internazionale ha influito sullo sport inglese più del mio primo libro. E comunque in tutta questa storia c' è qualcosa che non torna, è come se il fatto che Febbre a 90' sia un libro significhi che il suo successo è dovuto soltanto ai lettori delle classi medie - della serie come potrebbe essere altrimenti, gli operai mica leggono. Secondo me, invece, Febbre a 90' non è stato letto soltanto da gente abituata a comprare libri, ma anche da chi di solito non li compra; insomma, sia dai laureati di Oxford e Cambridge che da persone che hanno mollato la scuola a sedici anni. Dietro questo libro non ci sono storie drammatiche - l' ho scritto quasi di getto,e trovare un editore è stato relativamente facile e veloce. Molti editori, però, convinti che «i libri sul calcio non vendono», lo avevano snobbato, basandosi, a mio avviso, su una visione del mondo tutt' altro che democratica. Il succo del loro ragionamento, infatti, era: «I tifosi di calcio sono stupidi, talmente stupidi che non si comprano nemmeno le terribili autobiografie opera di ghost-writers sfornate apposta per loro. Quante chance credi di poter avere con i tuoi riferimenti al postmodernismo e le tue citazioni di Jane Austen?». L' idea che quelle terribili autobiografie opera di ghost-writers non vendessero perché erano terribili e opera di ghost-writers non li aveva nemmeno sfiorati. Quindi, probabilmente Febbre a 90' non ha cambiato la composizione sociale degli spettatori delle partite di calcio, ma spero che almeno abbia aiutato a risvegliare gli editori sul potenziale commerciale di un diverso tipo di libri sullo sport. Evitando chissà quale ricercata affermazione da uomo di lettere sulla genesi di questo libro, posso solo dire che l' unica cosa che avevo in mente mentre lo scrivevo era che i tifosi di calcio potessero leggerlo senza fare una piega. Per quanto riguarda le mie fonti d' ispirazione, due vengono dagli Stati Uniti: l' autobiografia di Tobias Wolff This Boy' s Life e il classico dimenticato di Frederick Exley A Fan' s Notes. Dal libro This Boy' s Life, di Tobias Wolff (Atlantic Monthly Press, New York, 1989) nel 1993 è stato tratto il film Voglia di ricominciare, con Robert De Niro e Leonardo di Caprio. Da A Fan' s Notes, di Frederick Exley, è stato tratto il sottotitolo dell' edizione originale di Febbre a 90' , Fever Pitch,A Fan' s Life, «Vita di un tifoso».( N.d.T.) Sarà perché la cultura popolare è il fiore all' occhiello dell' America, ma nessuno lì è sembrato sorprendersi del fatto che un autore esperto di poesia contemporanea fosse altrettanto ferrato nei punteggi del baseball; in Gran Bretagna, invece, questo miscuglio culturale è ancora visto con un certo sospetto. Un tifoso di calcio che legge libri passa per presuntuoso e snob; un poeta con un abbonamento stagionale è uno che più in basso di così non poteva cadere. Un altro dato di fatto è che la sfera d' influenza del calcio si era già ampliata ben prima di Febbre a 90' . Molte delle persone che vedevo alle partite appartenevano, come me, alla prima generazione delle classi medie, tutti beneficiari della mobilità sociale del secondo Dopoguerra. Noi avevamo goduto del privilegio di poter andare all' università e amavamo il calcio soprattutto perché lo amavano i nostri genitori e i nostri nonni. E comunque quando l' Inghilterra vinse la Coppa del Mondo, nel 1966, e George Best diventò il Quinto Beatle, quasi tutte le vecchie connotazioni sociali saltarono e amare il calcio diventò semplice quanto amare la musica pop. Poi, negli anni Ottanta, gli anni del calcio malato, molti di quei ragazzini hanno smesso di andare allo stadio, per tornarci a metà del decennio successivo, quando le cose hanno ricominciato a girare per il verso giusto. (Io invece, anche se avrei dovuto, non ho mai smesso, ed è stata questa tenacia, forse, la mia migliore qualifica per scrivere questo libro.) Quandoi tifosi l' hanno piantata con il cercare di picchiarsi fino a morire spappolati - o perlomeno quando la polizia ha capito come impedirglielo - gli spalti sono tornati pieni. E in questo dal punto di vista sociologico non c' è nulla di particolarmente complicato. Febbre a 90' , però, è uscito proprio nel periodo in cui i nostri stadi stavano diventando più sicuri, più affollati e più accoglienti per donne e famiglie, e la conseguenza è stata che il mio libro si è beccato meriti e colpe che non gli spettavano. Tempo dopo ho scoperto che in altri paesi - soprattutto negli Stati Uniti, il posto in cui Febbrea 90' , per ovvie ragioni, ha avuto meno successo -, stavano succedendo più o meno le stesse cose e tenendo banco dibattiti simili. Ovunque, o almeno così pare, lo sport professionistico si sta arricchendo e imborghesendo. Trovatemi un solo dirigente che per intrattenere un cliente lo porta ancora a teatro o all' opera; le classi medie di oggi, di qualunque nazionalità si parli, sono persone diverse, con background diversi e gusti diversi. Negli ultimi vent' anni non è solo il calcio a essere cambiato. Anch' io, ovvero l' altro protagonista di Febbre a 90' , che in fondo è un libro autobiografico, sono diverso. Nonostante tutto, però, il mio legame con l' Arsenal non si è spezzato. Negli ultimi vent' anni avrò perso al massimo venti partite casalinghe e quando giochiamo male ancora metto il muso. Anzi, ora che vivo con persone afflitte dalla medesima malattia la mia tristezza è ancora più impenetrabile. Il calcio, però, è diverso, gli stadi sono diversi e le voragini della mia infanzia e prima adolescenza sono state riempite - da un più che soddisfacente lavoro a tempo pieno che Febbre a 90' ha reso sicuro e da una ricca, impegnativa e complicata vita di famiglia. Oggi non vorrei e non potrei mai scrivere questo libro, ma non lo dico per sminuirlo. Nella mia attuale incapacità, infatti, vedo tanto una perdita quanto una crescita. La persona che aveva il tempo e le energie per tutti quei crepacuori ormai non esiste più, e se ora dovessi scrivere su di lei probabilmente le darei un buffetto sulla testa e la spronerei a diventare più adulta, più saggia, e si perderebbe tutto il bello di Febbre a 90' . Ho davvero provato quelle cose, e con me tantissime altre persone, milioni di persone. Molti di quei milioni forse oggi non si riconoscono più granché nel calcio e negli stadi in cui viene giocato, ma i miei figli e milioni di altri giovani, ragazzi e ragazze, stanno iniziando un' avventura che gli procurerà una marea di dolori e, una volta ogni morte di papa, attimi di gioia trascendentale. E questo, secondo me, non cambierà mai. da Repubblica.it

giovedì 15 novembre 2012

Un signore con 90 anni di Arsenal.

Non c’è bisogno di essere amanti della storia, di provare di fronte a racconti del passato quella sensazione di smarrimento, di vaghezza, di misticismo concreto che prende i veri appassionati, per apprezzare la vita sportiva di Norman Duncan, tifoso dell’Arsenal che ha visto la partita di sabato (27 ottobre 2012) contro il QPR dal directors box, quella che noi definiremmo tribuna d’onore, ospite speciale del club. Duncan è nato l’11 ottobre del 1912, ed ha dunque compiuto i 100 anni poche settimane fa. Suo padre, scozzese trapiantato a Londra e residente a Bermondsey, a sud del Tamigi, era un tifoso del Woolwich Arsenal, ovvero il club nella sua versione iniziale, anch’essa a sud del fiume, e nel 1919, spostatosi a New Southgate cioé molto più a nord, poté riprendere a seguire le partite dei Gunners, che nel frattempo si erano trasferiti ad Highbury. Morto il padre, nel 1925 (!), Norman per un certo periodo non poté andare allo stadio perché era troppo piccolo, ma riprese nel 1928, a 16 anni, senza perdersi una partita casalinga fino all’inizio della Seconda Guerra Mondiale. Lì, arruolato negli ausiliari addetti alla gestione dei palloni da sbarramento (quelli che dovevano prevenire attacchi aerei a bassa quota), si offrì volontario per il deposito di… Highbury: distrutta una precedente base appena dietro lo stadio, Duncan e i suoi commilitoni furono ospitati negli spogliatoi degli ospiti, e si trovarono pure a sfidare a cricket i giocatori dell’Arsenal. Trasferitosi a Colchester, cioé verso est, nel 1960, il signor Norman ha perso pochissime partite casalinghe fino al 2000, quando a 88 anni ha dovuto rallentare, per ovvi motivi di vecchiaia, limitandosi a seguire da casa. Nel 2006 però Duncan fu invitato a dare un contributo filmato per “Arsenal: The Highbury Years”, programma televisivo ideato per celebrare l’addio allo storico stadio e il trasferimento all’Emirates Stadium, nel quale venne intervistato a casa e lungo il tragitto verso lo stadio, nel quale, ospite del club, assistette al 7-0 contro il Middlesbrough. Tornò, sempre ospite, nel 2011, per una gara contro il Birmingham City, ed era lì anche ieri, ancora lucido a giudicare dalle sue reazioni quando è stato inquadrato dalle telecamere di Match of the Day (in una occasione pareva assopito, ma come vediamo nella foto, presa dal web, non è così). Fa impressione pensare ai ricordi che può avere, e ai cambiamenti a cui ha assistito: non ha mai visto i Gunners nella loro sede di Woolwich, ma con loro ha attraversato gli anni Venti, l’arrivo di Herbert Chapman, la guerra, la finale di FA Cup del 1950, i modesti anni Sessanta, il double del 1971, il semi-declino dopo la FA Cup del 1979, la trasferta di Anfield del 1989, l’era Wenger. Un libro di storia vivente. Brividi.
di Roberto Gotta, da http://blog.guerinsportivo.it

mercoledì 4 luglio 2012

Wenger: "Arshavin è stufo del calcio"

Dopo un Europeo a due facce, cominciato nel migliore dei modi con la vittoria in goleada per 4-1 contro la Repubblica Ceca e terminato nel peggiore, ovvero con la clamorosa e inaspettata sconfitta contro la Grecia che ha causato l'eliminazione della Russia, lo Zenit San Pietroburgo ha deciso di non riscattare Andrey Arshavin. Il 31enne era stato prelevato a febbraio con la formula del prestito oneroso dal club russo, facendo in tempo a vincere il campionato locale. Il suo cartellino rimane però ancora di proprietà dell'Arsenal, squadra nella quale tuttavia difficilmente continuerà a giocare. I motivi li ha spiegati in una lunga intervista il suo allenatore, Arsène Wenger. "Purtroppo, Arshavin è diventato un giocatore che dipende dal suo stato d'animo. Quando il gioco della squadra è fluido e convincente, lui può fare una grande partita. Ma spesso accade che lui dia la sensazione di addormentarsi in campo. Sono rimasto molto sorpreso quando la Russia - che fino a quel momento aveva espresso il miglior calcio del torneo - ha perso contro la Grecia, venendo eliminata da EURO 2012. Se Arshavin in quella partita avesse mostrato l'80% di quello che sa fare, la Russia si sarebbe qualificata ai Quarti di Finale come prima del girone. Ma credo che Andrey sia stufo del calcio. 
La cosa più importante è dare tutto in campo per vincere. Questo era un desiderio che Arshavin aveva quando approdò all'Arsenal. E la squadra infatti lo accolse bene. Recentemente, però, ha iniziato ad avere problemi. Non l'ho notato solo io, ma anche molti suoi compagni. Ha smesso di correre come un tempo, dando la sensazione di non spremere più sudore in campo. Il cervello calcistico rimane di prim'ordine, la sua classe e il suo talento sopraffino sono innegabili, ma la forma fisica e atletica non è più ottimale. Dovrebbe migliorare la sua condizione, ma a quanto pare non vuole. Questo è il problema.Dubito sinceramente che possa tornare all'Arsenal. La decisione, in ogni caso, spetta al club.
Ho sempre adorato Andrey. Gli ho sempre dato una possibilità. L'anno scorso abbiamo perso Cesc Fàbregas e Samir Nasri, Arshavin ha avuto la grande opportunità di diventare il leader della squadra. E abbiamo parlato con lui a riguardo di questo. Ma da lì in poi ha dimostrato così poco in campo che mi sono ritrovato costretto a lasciarlo in panchina. Per cercare di smuoverlo mentalmente, l'ho mandato anche ad allenarsi con la seconda squadra, senza ottenere alcun risultato. Quando il pubblico ha cominciato a fischiarlo nel momento in cui entrava in campo come sostituto, ho capito che non c'era più nulla da fare. Mi è dispiaciuto tantissimo. Andrey ha amato l'Arsenal? Cosa significa la parola "amore"? La squadra non è mica una ragazza! L'Arsenal ha in rosa dei ragazzi giovani e ambiziosi. Per qualche ragione, penso che amino prima di tutto se stessi. Ormai mi sono abituato a questo. Se ho mai avuto voglia di picchiare qualcuno dopo una partita? Certo, e mi piace ancora farlo! Scherzi a parte, mi è capitato di trattenere a stento la mia rabbia. L'ultima volta è successo proprio con Arshavin, al termina della gara persa contro il Manchester United, con l'ingresso in campo di Andrey che si è rivelato purtroppo dannoso.Confermo che ci sia stato un conflitto in passato fra Arshavin e van Persie. Hanno litigato proprio in campo, c'è stata una rissa, al termine della quale non si sono parlati per molto tempo. Li ho dovuti conciliare, come si fa con i bambini. Ma Robin non diede alcuna ultimatum a Shava, penso si siano capiti con il passare del tempo". da http://www.bundesligapremier.it

giovedì 26 gennaio 2012

In Arsene we trust

Piú volte questa scritta è comparsa sugli spalti dell’Emirates Stadium ma il credito che il tecnico francese aveva ammassato dal 1996, anno del suo arrivo nel nord di Londra, al 2004, stagione in cui i Gunners vinsero il titolo imbattuti, sembra assottigliarsi sempre di piú. Si sa, la pazienza dei tifosi, di alcuni piú che di altri, è inversamente proporzionale al numero di stagioni senza trofei. Piú queste aumentano, l’ultimo pezzo di metallo di un certo valore a finire in bacheca è stata la FA Cup nel 2005, piú la gente sugli spalti si agita. Con cadenza regolare tornano fuori i soliti argomenti: i tifosi biancorossi sono quelli che nel Regno Unito pagano i prezzi piú alti per vedere le partite della loro squadra in casa. Per questo motivo esigono, verbo non messo a caso, che il club spenda somme importanti per assicurarsi quei giocatori che invece regolarmente finiscono ad indossare maglie diverse. Non che l’Arsenal non ci provi, come la scorsa estate con Mata, ma sembra che nel momento in cui qualche nuova realtá con storia corta ma tasche molto lunghe, decida di puntare lo stesso giocatore per i Gunners non ci sia speranza. Basta a giocare al rialzo e i professionisti di questi tempi, di fronte a contratti miliardari, accettano magari di fare panchina nella piovosa Manchester, sponda celeste, piuttosto che capitanare una delle squadre piú gloriose d’Europa che gioca in una delle cittá piú affascinanti del mondo. Stessa cosa per molti ragazzi o professionisti salvati dall’oscuritá dal tecnico francese. Fatte le ossa all’Arsenal partono dopo un’annta decente denunciando una mancanza di ambizione che sono loro i primi a tradire. Wenger ha sempre mostrato, facendo seguire i fatti alle parole, di rifiutare di pagare somme principesche per giocatori discreti ma non eccezionali. Il suo scoprire talenti in ogni parte del mondo con un occhio al budget e un altro alle statistiche, gli è valsa l’eterna ammirazione anche di Billy Beane, allenatore di baseball e ormai famoso autore del libro Moneyball, da cui è stato tratto un film con Brad Pitt da poco nelle sale italiane. Ottime intenzioni, magari lo facessero tutti, e sicuramente per i padroni “dell’azienda” un comportamento da lodare ma, come il gruppo degli “indignati” dell’Emirates ama ripetere, “this is an FC not a PLC”. Quanto successo domenica scorsa dopo la sostituzione del giovane talento, pagato anche profumatamente per gli standard dell’Arsenal, Alex Oxlade Chamberlain è stato un chiaro segno del nervosismo che regna nei dintorni di Islington. Non ha aiutato che il giocatore scelto per sostituire colui che la folla aveva riconosciuto come miglior in campo fino a quel momento, fosse Andrei Arshavin, un calciatore fisicamente a Londra ma mentalmente in un altro emisfero. La cosa che fa infuriare i tifosi è che il russo neanche provi a nasconderlo. Il suo “body language” è quello di un calciatore deluso, non si sa da cosa, che preferirebbe magari farsi una passeggiata su Seven Sisters Road piuttosto che stare in campo in quel preciso momento. Persino a RVP è uscito d’istinto un “No!” appena si è accorto di quanto stava succedendo a bordo campo. Se prima era Almunia il capro espiatorio ora lui, Chamakh e quasi tutta la difesa sono saliti sul banco degli imputati e in molti sperano anche con almeno un piede su un areo con biglietto di sola andata. Il coro di “you don’t know what you’re doing” che è risonato nello stadio dopo che in pochi istanti dalla ormai famosa sostituzione il Man Utd aveva segnato il gol vittoria a tanti è sembrato esagerato. La persona a cui era diretto, il Professore, era sempre uno dei soli due allenatori a cui l’Arsenal ha dedicato un busto di bronzo. A Wenger è stato riconosciuto il merito di aver rivoluzionato, in meglio, il club così come avvenne con Herbert Chapman negli anni 30. Che poi sia lui a non voler spendere o che copra una societá ancora alle prese con il conto da pagare per il nuovo stadio sarebbe da vedere. Una cosa è certa: il francese ha controllo assoluto su qualsiasi questione inerente la prima squadra, e non solo, i suoi collaboratori non hanno voce in capitolo. Forse accentrare tutte le responsabilitá su sè stesso non è stata una mossa troppo astuta. Prima che ne paghi le conseguenze, e prima che i tifosi dei Gunners lo comincino a rimpiangere, sarebbe il caso che cercasse un aiuto.

martedì 22 novembre 2011

La parabola di Arteta da Barcellona all'Arsenal

Sette anni fa, una figura importante del calcio spagnolo in Inghilterra telefonò a David Moyes e gli chiese: "Stai ancora cercando un centrocampista centrale? Qualcuno che detti i tempi all'attacco? Sei pronto a rischiare con un giocatore che resta spesso in panchina in una squadra che non sta girando al massimo?". All'epoca Mikel Arteta andava regolarmente in panchina nella Real Sociedad de Fútbol, ma il tecnico dell'Everton FC decise di seguire il suo istinto e di puntare su di lui. E raramente un giocatore straniero ha saputo adattarsi così bene allo spirito del club. Poi, dopo quasi 180 gare di Premier League giocate con il club di Liverpool, il centrocampista si è trasferito all'Arsenal FC a settembre. Nel frattempo, l'Everton era cresciuto insieme a lui: una nuova struttura per gli allenamenti, le serate europee e una finale di FA Cup, ma a 29 anni lo spagnolo voleva confrontarsi con una nuova sfida. Arteta è approdato all'Arsenal sulla scia di uno dei trasferimenti più complicati che si ricordino, quello che ha riportato Cesc Fàbregas all'FC Barcelona. Un addio che ha lasciato un vuoto profondo nello spogliatoio dei Gunners e ancor più in campo.  I paragoni con il connazionale si sono ovviamente sprecati, ma Arteta non gli ha dato troppo peso: "Se provassi a sostituirmi a Cesc, comincerei con l'approccio sbagliato. Io sono qui da poche settimane, mentre lui è rimasto otto anni. Per me sarebbe impossibile sostituirmi a lui sotto questo punto di vista".  Ma Arteta e Fàbregas non hanno condiviso solo il destino di fari di centrocampo dell'Arsenal. Entrambi, infatti, sono approdati a La Masia, l'accademia giovanile del Barcellona, nel 1987. Fàbregas aveva dieci anni e Arteta, 15. E anche se il N°8 dell'Arsenal è rimasto in Catalogna solo per due anni, quell'esperienza lo ha formato come giocatore. "Ho imparato a passare il pallone al Barcellona, allenandomi con giocatori come [Josep] Guardiola, Rivaldo, Luís Enrique e [Luís] Figo - racconta -. La prima volta in prima squadra ho giocato un'amichevole di pre-campionato contro l'Hertha Berlino, avevo 16 anni e sono entrato all'intervallo al posto di Guardiola. Dopo la partita mi ha parlato a lungo di tutto ciò che avevo fatto in campo. Non c'è un aiuto migliore che un giovane possa chiedere". All'Arsenal, dove è uno dei volti nuovi, ha il compito di portare la sua esperienza a centrocampo, qualcosa che cerca di fare anche fuori dal terreno di gioco. "Lo spogliatoio è lo specchio dei periodi difficili che si hanno in campo, o di quei 15, 20, 75 minuti quando la squadra soffre davvero. In quei momenti si vede come reagiscono i tuoi compagni, gli sguardi tra loro dicono tutto. Quando tutto sembra perso un buono spogliatoio si compatta. E' importantissimo". Poi c'è Arsène Wenger, un manager che deve dare sempre l'esempio quando qualcuno mette dubbi sulla filosofia del club. "Sono rimasto sorpreso da quanto sia diretto il suo messaggio - spiega Arteta -. I giocatori non ricevono 40 istruzioni. Wenger dà a un giocatore sei o sette idee ed è tutto. Dopo 20 minuti sai già cosa stai facendo". A 29 anni, Arteta ha accettato il rischio di trasferirsi a un club che sta attraversando il periodo più complicato dagli anni '90. Wenger è sicuro di poter ottenere il meglio da Arteta: "E' un giocatore completo, sa fare le due fasi ed è molto ambizioso. Tutti ingredienti per essere un giocatore perfetto per l'Arsenal". Dovesse aver ragione Wenger, il futuro dell'Arsenal sarebbe sicuramente più sereno.

giovedì 10 novembre 2011

L’Arsenal sbarca in Italia. A lezione da chi alleva campioni

Saper fare i “numeri” con il pallone, ma nel momento giusto. Esercitazioni brevi ma intense. Zero ostacoli alla creatività. È lo "stile Arsenal" della scuola di Wenger, che manda istruttori in giro per il mondo a spiegare il suo calcio
“Tempo fa abbiamo ricevuto la telefonata di un padre che voleva portare il figlio a Londra per fare un provino. Tentenno, e intanto chiedo: ‘Vediamo… quanti anni ha il ragazzo?’. Risposta: ‘Sei’. Ecco: questo non è il nostro lavoro”.
Renzo Revello è il Direttore dello Sviluppo del progetto “Arsenal Soccer Schools” in Italia, e di storie così ne potrebbe raccontare a bizzeffe.
La scuola calcio Arsenal, fabbrica di talenti, affascina e attira: soprattutto genitori convinti di avere tra le mani il futuro Messi.
Lo chiamano “l’Arsenal dei giovani”, va bene: ma a tutto c’è un limite. E un bambino di 6 anni, per quanto promettente possa essere, non deve essere sradicato dal suo mondo.
“Crescere il talento è l’obiettivo, rispettare il ragazzo la prima regola”: messe in chiaro le cose, Renzo Revello può svelare cosa sia realmente l’Arsenal Soccer Schools, progetto nato nel 1985 e oggi presente in oltre 20 Paesi, tra cui l'Italia.
“Non ci occupiamo di crescere giovani talenti italiani da portare in Inghilterra, sia chiaro, ma di esportare una filosofia. O meglio: esportare e importare cultura calcistica”.
Il motto è “Play the Arsenal way” e la filosofia è quella dettata dalle parole dello stesso Arsène Wenger: “Non dobbiamo necessariamente crescere dei campioni, ma far sì che un ragazzo possa diventare il miglior giocatore che può diventare”. Aiutarlo, insomma, ad esprimere al massimo il suo potenziale. Il progetto, sviluppato soprattutto nel nord Italia (con diverse sedi in Lombardia e Piemonte), prevede la formazione dei tecnici (con allenatori inglesi che aggiornano quelli italiani, fornendo indicazioni e strumenti didattici), l’organizzazione di camp estivi per i ragazzi (in cui, oltre a tanto pallone, è obbligatoria un’ora di lezione d’inglese al giorno), l’affiancamento dei tecnici delle società italiane affiliate. Il segreto degli allenamenti “stile Arsenal”? “Esercizi brevi, con intervalli frequenti – rivela Revello - I ragazzi sono cambiati: quelli di oggi sono capaci, contemporaneamente, di mandare un sms all’amico mentre sono al computer su facebook e hanno la tv accesa. La loro capacità di concentrazione ha durata ridotta, ma è intensa”. Ogni giornata di lavoro, poi, è dedicata a un diverso “fondamentale”: un giorno dribbling e conduzione della palla, un altro finte e saltare l’uomo, poi controllo e passaggio, tiro… “E infine, sempre, la partitella a tema, perché i ragazzi giocano principalmente per divertirsi”. Una filosofia riassunta in 7 lettere, quelle della parola Arsenal, in cui ognuna esprime un concetto base: Attitude (giusto approccio alla disciplina), Respect (rispetto), Skill (abilità), Energy (intensità nel lavoro), New thinking (innovazione), All for one (gioco di squadra), Learning (mai smettere di imparare). Due in particolare differenziano il calcio giovanile inglese da quello italiano. “Energy – dice Revello - perché le sedute di allenamento inglesi normalmente sono di 70’; noi italiani impieghiamo 2 ore per fare le stesse attività. Non solo: all’Arsenal insegnano sì gesti tecnici e “numeri” con il pallone, ma bisogna poi saperli trasferire nel contesto di gara, metterli al servizio dei compagni. Tanta tecnica, quindi, e tanto pallone: ma conversione immediata in situazioni reali”. Il secondo punto? L’innovazione. “All’Arsenal i bambini sono visti come i principali portatori di creatività, che poi il tecnico deve essere bravo a incanalare e gestire. L’Italia, soprattutto negli ultimi anni, ha sfornato grandi corridori, grandi colpitori di testa, ma poca gente capace di saltare l’uomo”. Chi avrebbe mai detto che avremmo preso lezioni di creatività dagli inglesi?
“Mi raccontava un ex giocatore professionista di aver portato suo nipote a un paio di allenamenti in una famosa scuola calcio in Italia – continua Revello - Mi disse: la parola che ho sentito di più in due giorni è ‘Scarica’. In Italia si pensa che il bravo giocatore sia il ragazzo che in campo fa esattamente ciò che gli dice l’allenatore. In realtà quello è un soldatino, e tra i soldatini è difficile trovare giocatori decisivi nei momenti cruciali, che abbiano la faccia tosta di prendersi la responsabilità di provare una giocata difficile”. Sembra l’elogio di Balotelli. Che, sarà un caso, ma è volato in Inghilterra.
di Vanni Spinella, http://sport.sky.it/

mercoledì 26 ottobre 2011

"Wenger, un futuro incerto" di L.Manes

“In Arsene We Trust”, recita uno striscione che fa bella mostra di sé nella nuova North Bank a ogni partita casalinga dell’Arsenal. Ma davvero ci si può ancora fidare del Professor Wenger? Vale la pena sposare in toto il suo innovativo, spettacolare ma non sempre vincente concetto di calcio? Dopo le delusioni del recente passato e il mediocre inizio di stagione – che ha avuto il suo nadir nell’umiliazione dell’8-2 dell’Old Trafford – non sono pochi gli addetti ai lavori e i tifosi che si chiedono se abbia ancora senso la permanenza del francese sulla panchina dell’Arsenal. Un regno, quello di Wenger, che dura da tanto tempo, addirittura dalla stagione 1996-97. Il primo manager straniero della storia dei Gunners fu caldamente raccomandato – ironia della sorte – da un ex stella degli eterni rivali del Tottenham, Glenn Hoddle, rimasto molto colpito dalla maestria tattica del francese ai tempi della comune militanza nel Monaco. L’Arsenal veniva dai disastrosi 14 mesi di gestione di Bruce Rioch e pur di mettere sotto contratto Wenger decise di aspettare fino al gennaio 1997, accontentandosi si un allenatore ad interim per l’inizio di quella stagione. Il buon Arsene, infatti, era finito a lavorare in Giappone, al Nagoya Grampus Eight, che fortunatamente in un secondo momento si decise a farlo partire prima della scadenza pattuita. La squadra continuava ad andare male e il manager a tempo Stewart Houston aveva già rassegnato il suo mandato. All’arrivo di Wenger dalle parti di Avenell Road non ci furono certo manifestazioni di giubilo collettive, per l’arrivo del francese. In pochi lo conoscevano, sebbene girasse voce che fosse molto preparato. A Londra lo soprannominarono ben presto il professore perché una delle prime foto rimbalzate sulla carta stampata lo ritraeva accanto a una libreria. Peccato che sugli scaffali non ci fossero le opere immortali di Charles Dickens o William Shakespeare, ma vecchi programmi dell'Arsenal. I nuovi schemi imperniati su un calcio offensivo, fatto di possesso palla, sovrapposizioni e tagli continui, erano una evidente rottura con il passato fatto di football cinico e concreto, addirittura un catenacciaro, all’ennesima potenza. Il boring (noiso) Arsenal di George Graham, foriero però di tanti successi a cavallo tra gli anni Ottanta e Novanta. Un po’ come fu rivoluzionario il mitico Herbert Chapman nel periodo prima della Seconda Guerra Mondiale, Wenger non si limitò alla tattica, ma impose forti cambiamenti un po’ ovunque. Convinse il board a investire una decina di milioni di sterline per un nuovo centro allenamenti all’avanguardia, mutò le abitudini alimentari della squadra (niente più cucina inglese ma tanta verdura, riso e pasta) al punto che adesso c’è un dietista che stila un piano personalizzato per ogni giocatore, non mise un veto esplicito sull’alcool, ma fece di tutto per “scoraggiare” il suo consumo, infine istituì un approfondito studio delle statistiche relative a ogni gara disputata. A fine carriera Dennis Bergkamp veniva sostituito sempre al settantesimo perché Wenger sapeva, dati alla mano, che negli ultimi venti minuti di match rendeva pochissimo. Potendo contare su una grande difesa, plasmata soprattutto da Graham, Wenger inserì pedine fondamentali come un giovane e ancora quasi sconosciuto Patrick Vieira, la promessa Nicolas Anelka e poi via via campioni già affermati come Marc Overmars, Thierry Henry (“scippato” alla Juventus) e Robert Pires. I suoi primi dieci anni di regno hanno prodotto tre vittorie in Premier (quella del 2003-04 senza perdere nemmeno una partita), quattro FA Cup e altrettante Community Shields, facendo di lui il manager più vincente della storia del club del nord di Londra. Nel 2006 ha sfiorato una Champions League, persa sul filo di lana contro il Barcellona di Ronaldinho. Il problema è che adesso i ricordi di quei successi si stanno sbiadendo, a fronte di troppe annate (ormai sei) senza alzare nemmeno un trofeo. Le ultime quattro stagioni sono coincise con la fiera delle illusioni: inizi folgoranti e finali col fiato corto, cortissimo. I massicci investimenti economici per la realizzazione del nuovo stadio ad Ashburton Grove hanno “obbligato” Wenger ad affidarsi ancor di più ai giovani, che però evidentemente arrivano anche loro nei mesi decisivi troppo spompati fisicamente e di testa per reggere l'urto di match fondamentali per l'esito della Premier o della Champions League. Il digiuno di affermazioni nei principali tornei domestici o internazionali in occasioni come la finale di Coppa di Lega del 2007 può essere in parte imputato a una sorta di “integralismo” del tecnico francese. Siccome in Carling Cup venivano schierate sempre le seconde linee per fare esperienza, era giusto che scendessero in campo anche nell'atto conclusivo che si erano guadagnate. Pazienza se poi quella partita fu vinta dal Chelsea, che poteva contare sull'undici titolare. Per la verità nel 2011 ha cambiato un po' questo atteggiamento, visto che contro il Birmingham sempre in Coppa di Lega, di riserve ce n'erano pochine. Ma il risultato non è cambiato, con i Gunners che hanno buttato alle ortiche la vittoria sul più bello.In Inghilterra ormai il dibattito è aperto e quanto mai stimolante, visto che, comunque la si veda, parliamo pur sempre di uno dei migliori allenatori degli ultimi 20 anni a livello internazionale.  Gli estimatori di Wenger, quelli del partito “Arsene knows best”, continuano a esaltare il gioco sublime che spesso offre la squadra e l’ineguagliabile capacità del tecnico francese di tramutare promesse di belle speranze in calciatori di ottimo livello. “Non eri un giocatore di classe mondiale quando sei arrivato a Highbury”, la celebre ed esemplificativa risposta del francese a Patrick Vieira, il quale nel 2004 si era lamentato perché la squadra non era stata rafforzata con quelli che di questi tempi chiameremmo top player. I fan dell’alsaziano, inoltre, ci tengono a ribadire che lo strapotere economico di squadre come Chelsea e Manchester City – che negli ultimi tempi hanno “depredato” i Gunners, soffiandogli giocatori del calibro di Ashley Cole, Emmanuel Adebayor, Kolo Touré, Gael Clichy e Samir Nasri – è difficile da contrastare. I detrattori, il cui numero è in crescita, non fosse altro perché chi paga tanto prima o poi si vuole pure togliere la soddisfazione di festeggiare qualche trionfo, rinfacciano al manager una mancanza di flessibilità tattica che porta l’Arsenal a commettere troppe volte gli stessi errori (incapacità di chiudere le partite, frequenti distrazioni sui calci piazzati e gioco offensivo troppo monocorde). Negli ultimi quattro anni ci si è messo pure il calo a inizio marzo a peggiorare le cose. I Gunners iniziavano la stagione facendo fuoco e fiamme, spegnendosi poi miseramente quando arrivavano le partite decisive. La doppia sfida di semifinale contro il Manchester United in Champions League nel 2008-09 è un esempio calzante, mentre in campionato il crollo più clamoroso è senza dubbio quello del 2010-11, quando si è passati dalla lotta per il titolo a uno striminzito quarto posto. Mettiamola così, Wenger è sì un grande conoscitore di calcio, ma sfuggendo sempre l’ammissione dei propri errori non riesce certo a risolvere i problemi del team. Troppo spesso si è riparato dietro la foglia di fico dei torti arbitrali o del trattamento violento che i suoi ragazzi subiscono dagli avversari. L’errore del giudice di gara ci può stare, ma se a Barcellona (Champions League 2010-11) si va con il proposito di “fare il proprio gioco” e poi si viene dominati in lungo e in largo, qualche mea culpa va fatto. Un’altra colpa che gli addebita la fazione degli scettici è la cattiva gestione dei movimenti di mercato. Non era meglio vendere Fabregas già nel 2010? Perché per tanti anni nell’Arsenal hanno giocato portieri e difensori di scarsa qualità? Per una volta non era meglio investire una ventina di milioni di sterline su un campione già formato e non un giovane con scarsissima esperienza come Alex Oxlade-Chamberlain? Questi sono solo alcuni degli interrogativi che rimbalzano sui tanti forum di tifosi dell’Arsenal proliferati negli ultimi tempi su internet.  Estremi difensori del calibro di Jens Lehmann, Manuel Almunia e Lukasz Fabianski – quest’ultimo definito una volta dallo stesso Wenger “portiere di caratura mondiale” – sono forse le prove viventi più palesi della cocciutaggine del tecnico alsaziano. Trovarne di migliori, anche senza spendere una fortuna, non era proprio impossibile. Quello del budget di mercato rimane un altro mistero per molti affezionati biancorossi. Troppe volte il manager dell’Arsenal ha dichiarato di aver a disposizione qualche decina di milioni di sterline per rinforzare la squadra, altrettanto di frequente si sono fatte campagne acquisti di basso profilo, perché Wenger ha preferito non aprire i cordoni della borsa.
di Luca Manes (http://ukfooty.blogspot.com), pubblicato sul numero di Calcio 2000 di ottobre

martedì 4 ottobre 2011

Una partita da evitare


di Massimo Usai, http://massimousai.blog.espresso.repubblica.it/arsenal/
So bene che molti di voi vorrebbero parlare di Arsene Wenger fuori, di comprare questo o quell'altro, ma io sono duro e poi penso che tanto fino a Gennaio non si compra nessuno e che se tutto va bene, non ci sono solo più' infortuni e poi tornano anche coloro che sono infortunati al momento. Alcuni nomi? Eccoli... Thomas Vermaelem (difensore centrale), Johan Djourou (difensore centrale), Sebastian Squillaci (difensore centrale), Laurent Koscielny (difensore centrale), Bacary Sagna (terzino destro), Jack Wilshere (centrocampista centrale) e Abou Diaby (centrocampista centrale). Sette giocatori, tutti sulla fascia difensivista, anche se giocano (due ) a centrocampo. Ok, ora qualcuno mi dirà' che bisognava comprare anche altri rincalzi, e se leggo questa cosa salto tutto il resto dell'intervento, perche' pensare di avere 12 difensori centrali, non viene in mente manco a Mancini, il che dice tutto..:)
Le cose non stanno andando bene anche perché' ci sono molti infortuni, tanti, troppi, ma non accusate il centro medico, nel 90% dei casi sono scontri pesanti di gioco.
Io lo dico sempre che c'entra la sfortuna (o la fortuna...se non accadono), ma sono realista nel sapere che questa motivazione non aiuta a sfogare frustrazioni, ed ecco perché' viene spesso ignorata e si vuole invece sempre trovare un colpevole o una soluzione.
Ma rassegnatevi, alle volte non serve fare mille letture, la sfiga colpisce bene e bisogna solo essere bravi a capire che di questa si tratta e non di tante altre congiunture complicate.
Ma non voglio andare troppo in profondità' sulle questioni della squadra, abbiamo ancora 15 giorni di tempo per scannarci in questo, volevo oggi tornare indietro di 24 ore e riparlare di questa sfida a White Hart Lane, della sua importanza e della sua rilevanza. Dei suoi pericoli e di tutto il resto... Come alcuni mi dicevano domenica allo stadio durante l'intervallo, questa partita sta diventando l'evento dell'anno da evitare. Da qualche anno (grazie ai media che come sempre esasperano gli animi e considerano importanti cose che invece non sono...), questa partita e' diventata la meno divertente, la meno interessante e una di quelle da perdere assolutamente. Molti tifosi dell'Arsenal, che si fanno migliaia di chilometri all'anno in tutto il Paese e in tutta Europa, da alcuni anni cedono volentieri questo biglietto a chi, invece, considera questa l'unica partita importante dell'anno. Vengono allo stadio per cercare la rissa, lo scontro verbale offensivo, razzista, violento e si divertono se scoppia una rissa da qualche parte di White Hart Lane, come se dovessero rivendicare chissà' cosa o cercare di far valere chissà' quale motivazione. E' uno scontro tra menti malate, allo stadio non si sentono i soliti cori divertenti ed ironici, ma invece si cercano parole offensive che fanno vomitare a solo pronunciarle. Sapevo non essere divertente questa trasferta e il fatto che e' l'unica trasferta che devo fare senza nessun segno di riconoscimento della squadra a cui tifo, che devo fuggire di nascosto abbassando lo sguardo, facendo finta di essere li per caso, stare attento quando esci dal cancello ospiti se qualcuno ti sta guardano e poi che t'insegue per riempirti di botte, mi pare un elemento sufficiente per dire che questa e' diventata la partita più' stupida del campionato. Ieri, come in molti hanno testimoniato, tre ragazzini, di cui una bambina, sotto i 12 anni, sono stati violentemente insultati e oggetto di lancio d'oggetti, alla stazione dei treni in prossimità' dello stadio. La loro colpa era avere la maglietta dei Gunners, convinti che il fatto di essere bambini gli escludesse dalla vergognosa reazione degli energumeni.
Stessa cosa e' capitata lo scorso anno, quando due ragazze sui 16-18 anni, uscirono dal settore ospiti insieme a me, e una decina di uomini tutti tatuaggi “british”, con bulldog e croci “made in england”, insultarono nel modo più' villano e rozzo queste due ragazze, fino al punto che una delle due entro' in chiaro panico e pianto, e la polizia dovette intervenire pesantemente. Che dire , poi, dello spiegamento di forza di ieri... una cosa che in 12 anni a Londra non avevo mai visto..migliaia di poliziotti che scortavano tutti fino alla stazione della metropolitana, con gente che appena mostrava un segno di nervosismo eccessivo, veniva presa di peso e portata sui camioncini della polizia che camminavano con il nostro passo in numero apparentemente eccessivo, ma che si rivelava in serata invece insufficiente.
La partita e' talmente tesa che a White Hart Lane non c'e' birra, ed anche questo e' un fatto unico nei campi inglesi. Insomma, veramente tutto eccessivo ed esaltato da media esalatati e da tifosi che tali non sono, ma solo frustrati che pensano sul serio a una rivalità' che da sportiva e' diventata animalesca. Nessuno cantava allo stadio le belle canzoni ironiche verso gli spurs che spesso si sentono dal nostro settore, quelle ironiche sui 50 anni senza titoli, sul “giovedì' sera su Canale 5”, no, nulla di tutto questo... anche il tifo nostro faceva schifo, era arrogante, violento e fatto in pochi, perché' in tanti si rifiutavano di tanto schifo. Sia chiaro, vedere Sagna a terra, con la gamba rotta, e vedere alcuni tifosi degli Spurs sputare su di lui, non aiuta, cosi come sentire le loro solite canzoncine offensive e razziste verso Wenger in questo francese, ma io comunque non giustifico il nostro stesso livello.
Probabilmente il nostro tifo d'ieri era solo una piccola rappresentanza di quello che era presente all'Old Trafford a fine Agosto, questo presente a White Hart Lane, era il popolo del Sun , di Sky Sport o di informazione simile, gente che sfoga i propri veleni su forum per settimane e mesi, gente che dalla vita non ha molto da chiedere se non una bella rissa.
Proprio questo pomeriggio e' uscito questo communicato comune da parte di Arsenal e Tottenham e spero che facciano sul serio e seriamente, quello che i tabloid vorrebbero non fosse fatto, cioe' rimettere ordine al fatto che e' solo una partita di calcio e non una guerra per chissa' quale supremazia.
Tottenham and Arsenal issue a joint statement following the abusive chanting from both sets of supporters in the north London derby at White Hart Lane. "Both clubs were extremely disappointed to hear the chants from supporters at yesterday's game. Neither club tolerates foul language, racist chanting, homophobic chanting or any anti-social behaviour from its supporters. We shall be working closely with each other to identify the individuals involved."
Domenica molti mi dicevano che tanti veri tifosi dei Gunners rinunciano a questa partita da anni, io ci avevo fatto un pensiero alcune settimane fa ed in parte già' lo scorso anno... penso che probabilmente il prossimo anno il mio biglietto sarà' in vendita, sempreche' non veda sul serio un intervento risolutorio da parte dei due clubs e che i cretini da ambo le parti vengano allontanati per sempre dai campi di calcio. tanto non servono ne per vincere ne per perdere un match, ma solo per infastidire le persone serie che vanno a vedere calcio.

mercoledì 10 agosto 2011

Londra brucia, la scala mobile della povertà

di Richard Newbury (tratto da www.lastampa.it)
La Londra che brucia in questi giorni ha alcune caratteristiche che agli italiani sembrano «straniere». La prima è il diritto di primogenitura, che da mille anni prevede che il primo maschio erediti praticamente l’intero patrimonio, mentre ai fratelli e alle sorelle spettano soltanto piccole proprietà. Questo ha portato non solo alla mobilità sociale ma anche, già nel Medio Evo, a un vivacissimo mercato immobiliare. La seconda caratteristica dei londinesi è che, quanto più ricchi diventano, tanto più si allontanano dal centro, prima verso i sobborghi, poi in campagna, dove sostituiscono il giardino suburbano con una tenuta, come fece Shakespeare con la casa di Stratford e il nuovo stemma di gentiluomo. In generale West London - dove l’acqua e l’aria sono più pure - è più sofisticata di East London. Quando in passato i giovani alla moda colonizzarono quelle aree povere dove era sconveniente mettere piede, come Dalston e Hackney a Nord e Stackwell e Peckham a Sud della city, all’improvviso lì spuntarono gallerie d’arte, ristoranti e annessi intellettuali. Ora quelle spaziose case vittoriane, un tempo suddivise in più appartamenti, sono diventate eleganti case unifamiliari ad appena un miglio dalla city. Il conseguente rialzo dei prezzi, come sempre, scaccia gli attuali occupanti multiculturali, che solo una generazione fa avevano sostituito la classe operaia bianca e la piccola borghesia. Anche gli immigrati hanno sempre seguito la scala immobiliare. Un miglio a Sud di Hackney c’è Brick Lane Market con i suoi laboratori tessili. Dopo l’espulsione degli ugonotti dalla Francia ordinata da Luigi XIV nel 1685, trecentomila di loro arrivarono in Inghilterra, dove impiantarono seterie e costruirono la cappella ugonotta di Brick Lane. Tra il 1880 e il 1914 la massiccia immigrazione di ebrei in fuga dai pogrom in Polonia e in Russia soppiantò gli ugonotti, proseguendo l’industria tessile, mentre la cappella diventava una sinagoga. La prima generazione di ebrei nata a Londra si spostò a Hackney, come i genitori di Harold Pinter. Il risultato della loro ascesa sociale è non solo Marks and Spencer, Sainsbury’s, Dixon, Tesco e Amstrad, tutte catene cominciate con una bancarella al mercato di Brick Lane, ma anche l’approdo dei nipoti ai vertici dei media e della legge, con casa a Hampstead e Golders Green. Quarant’anni fa gli immigrati dal Bangladesh presero il posto degli ebrei e la sinagoga divenne una moschea; più di recente, lì è arrivata una comunità musulmana kosovara. Questa è la scala mobile dell’immigrazione, nella quale gli ugonotti, gli ebrei e i musulmani sono stati più lesti degli irlandesi e degli afro-caraibici.
Questa è la storia dell’East End. E il West End? A partire dal 1968 io ho vissuto in quattro zone di Londra dove oggi non potrei permettermi di affittare neppure un garage - mentre allora potevo viverci col mio stipendio di insegnante. Il mio primo appartamento fu a Soho, quand’era il cuore della vita bohémienne e sui tetti si vedevano file continue di gente nuda a prendere il sole. Poi ho abitato nel quartiere di Hampstead con vista sui boschi di Hampstead Heath. Quindi ci fu un appartamento su King’s Road, a Chelsea, sotto il quale la regina e Lord Patrick Plunket erano soliti cenare in incognito dopo essere stati al cinema dall’altra parte della strada. L’alloggio successivo fu a Notting Hill, un quartiere che, quand’ero adolescente, era considerato il più pericoloso di Londra, dove regnavano lo strozzino Rachman e i trafficanti di droga caraibici. Le case che si vedono in «Notting Hill», il film con Hugh Grant, costano ora decine di milioni, mentre allora passavano, strada dopo strada, dalla condizione di topaie piccole e sovraffollate - come si vede nel film di culto «Shakespeare a colazione» - ad appartamenti-gioiello. Neppure David Cameron può permettersi di comprare casa a Notting Hill; infatti vive nella un tempo disdegnata Ladbroke Grove, sul lato sbagliato dei binari della metropolitana. L’unica ombra ancora proiettata dalla vecchia Notting Hill è il Carnevale di Portobello Road. I miei figli e i loro nipoti che adesso vivono a Hackney stanno semplicemente seguendo la tradizione familiare e le orme di tutti i londinesi che hanno sempre cercato in territori nuovi un habitat a portata delle loro risorse. Per vincere questa corsa, occorre però essere il pioniere che compra casa prima che una copia del Guardian e del Financial Times appaia nella rastrelliera del blindatissimo giornalaio e una Volvo venga parcheggiata nella strada ancora lercia.

sabato 23 luglio 2011

Il giorno del cappellaio matto.

1988 Arsenal-Luton Town, Final League Cup
Tranquilli amanti del calcio inglese, in questo pezzo non si faranno analisi psicologiche sui personaggi del celebre libro di Carrol “Alice nel paese delle meraviglie”, qui si parla di calcio inglese, di quello un po’ datato, in sostanza di quello che in fine amiamo di più. Sembra di stare a parlare di epoche lontanissime eppure poco più di venti anni fa il nostro amato football viveva una dimensione enormemente diversa rispetto a quella odierna. Il calcio inglese, esiliato dal resto d’Europa dalla vigliacca sentenza post-Heysel che colpi tutto il movimento calcistico di sua maestà e non solo il Liverpool come giustizia avrebbe voluto, era un calcio autarchico snobbato da investitori e campioni esteri e per questo con il livello medio più equilibrato. In questo contesto storico il Luton Town, piccola squadra della cintura londinese, visse il suo moneto di gloria massima. Dicevamo che erano altri tempi, in quei tempi là succedeva che i “cappellai” di Luton ( il soprannome The Hatters era dato dal fatto che il distretto di Luton fin dal diciassettesimo secolo era il maggior produttore di cappelli di paglia e non ) erano da tempo frequentatori dell’allora first division inglese, nella stagione 86/87 addirittura centrarono il settimo posto, e quindi si erano ritagliati una credibilità notevole ma nessuno avrebbe scommesso su una loro vittoria nella finale di Coppa di Lega del 1988. In un Wembley gremito, di fronte a 96000 il persone il 24 aprile dell’88 l’Arsenal di George Graham affronta il piccolo Luton Town guidato da Ray Harford. Sulla carta i gunners partono con il favore del pronostico anche se come accennato poco fa negli anni 80 i giant killing erano molto più frequenti, si pensi solamente che due anni prima, nel 1986, la Coppa di Lega fu alzata in cielo dal capitano dell’Oxford United. In campo 22 giocatori di cui 21 inglesi e uno ( il portiere del Luton Dibble ) gallese, erano proprio altri tempi. I Gunners partono forte e menano le danze ma già al 13’ si hanno le avvisaglie che sarà un pomeriggio storico; Brian Stein sfrutta al meglio un assist di Steve Foster e taglia fuori tutta la difesa dell’Arsenal battendo Lukic da pochi metri: 1-0 tra l’incredulità generale. Il club di Highbury si lancia al contrattacco, le giocate di Rocastle, Micheal “history man” Thomas, i guizzi del leggendario attaccante Alan Smith sbattono però contro la diga eretta dal Luton a difesa della porta di Andy Dibble. La sensazione generale è quella che una volta trovato il gol del pari l’Arsenal possa far sua la gara. Nel secondo tempo accade ciò che tutti si aspettavano, in soli 5 minuti i gunners ribaltano la situazione:al 71’ gol del pari in mischia di Hayes, subentrato ad uno spento Groves, ed al 74’ il bomber Smith come da prassi timbra il cartellino a seguito di una rocambolesca azione che dimostra come la difesa degli Hatters fosse ancora in tilt dopo il aver subito il gol del pari. A questo punto i Gunners dilagano, Rocastle porta a spasso il pallone in area avversaria, Donaghy ingenuamente lo tocca ( ma forse no, probabilmente stiamo parlando di uno dei primi grandi tuffi in area di rigore che la mia memoria di appassionato di brit-football ricordi ) , rigore. Dal dischetto la leggenda Nigel Winterburn si appresta a dare il colpo di grazia al Luton, succede però che Dibble sventa la minaccia con un gran balzo sulla sua sinistra tenendo in gioco gli Hatters per gli ultimi leggendari dieci minuti. Chi ha letto Febbre a 90 di Hornby sa di cosa sto parlando: arriva puntuale in area Gunners il disastro di Gus Ceasar, centrale non nuovo a leggerezze leggendarie, che cicca il rinvio su retropassaggio di testa di Sansom innescando una azione confusa che dopo tiri e rimpalli porta al gol del pari di Danny Wilson al 82’. Sconcerto tra i gunners, difesa storicamente solida che già aveva in Tony Adams la sua colonna. Lo stesso Adams, già capitano all’epoca, al 90’ stende da par suo Mark Stein, punizione ineccepibile battuta da Danny Wilson, Adams libera di testa ma il nuovo entrato Grimes scodella di nuovo in area, è il 90’, e Brian Stein, ancora lui brucia tutti in anticipo e trasforma il sogno in realtà, 3-2 ed il Luton Town è nella storia. Le parabole dei 2 club saranno opposte, quell’Arsenal sotto la sapiente guida di Graham vincerà il campionato l’anno seguente dopo anni di digiuno e da quel momento inizierà una escalation poderosa mentre il piccolo Luton dopo questo trionfo atteso ben 103 anni arriverà di nuovo in finale di Coppa di Lega l’anno successivo perdendo però contro il Forest 3-1. Dopo questo meraviglioso biennio inizia la lunga caduta all’Inferno dei “cappellai” che culmina con la retrocessione l’anno scorso stagione 2008/09 dalla 4 divisione(a noi vecchi piace ancora chiamarla cosi)alla Conference. Un grande rammarico per il Luton Town sarà non disputare alcuna competizione europea per via del noto bando alle squadre inglesi, rammarico che nel tempo colpirà pure Oxford Utd e Wimbledon ma questa è un’altra pagina di un calcio che non c’è quasi più: il calcio dei piccoli miracoli, dei clamorosi giant-killing, il calcio delle squadre inglesi con giocatori britannici, il calcio dei cari vecchi tempi e a quello spirito ormai quasi scomparso a cui questo piccolo articolo vuol rendere omaggio.
di Charlie Del Buono, da http://ukfootballplease.blogspot.com

venerdì 22 luglio 2011

Vestivamo alla Mariner

Paul Mariner
Comincia a giocare dalle sue parti, nel Lancashire, al Chorley, club dilettantistico di non-League, prima di essere ceduto al Plymouth Argyle per quattro soldi nel luglio 1973. Poche settimane della nuova stagione e Paul Mariner ha già rubato il posto a Jimmy Hinch, mettendosi in luce come uno dei migliori attaccanti della Third Division. Nel 1975-76, in coppia con Billy Rafferty trascina l’Argyle alla promozione in Second Division. Su di lui mettono gli occhi club di First Division quali Ipswich Town, West Bromwich Albion e West Ham United, ma è di Bobby Robson, nell’ottobre 1976, la padriniana offerta che il club del Devon non può rifiutare. Con sette gol in dieci giornate di campionato, Mariner stava già dimostrando di saper segnare in Division Two come faceva in Division Three, e così l’Argyle ne accetta la valutazione fatta dall’Ipswich: 220.000 sterline più i cartellini di Terry Austin e John Peddelty.La grande considerazione in cui Robson teneva Mariner al club continua quando il futuro Sir Bobby lascia l’Ipswich per la nazionale inglese, sogno che grazie a lui Paul realizza sei mesi dopo l’arrivo al Portman Road e che si spezzerà dopo 35 presenze e 13 reti.Al primo anno coi Blues, in 31 partite segna 13 gol compresa la tripletta nel 4-1 casalingo sul West Ham United. Nel 1977-78, con 22 reti è il miglior marcatore dei suoi e si porta a casa il pallone firmando un hat-trick nel 6-1 esterno sul Millwall nel sesto turno di FA Cup. Campagna chiusa in gloria con l’1-0 in finale sull’Arsenal. Guida la classifica marcatori anche nel 1978-79 e nel 1979-80, annata conclusa con la tripletta nel 6-0 sul Manchester United. Nelle ultime tre stagioni al Portman Road bolla sempre meno, ma ha in carniere 131 gol in 339 partite quando, nel febbraio 1984, firma per l’Arsenal e 150.000 sterline. Già nella fase discendente della carriera, ad Highbury vive i suoi anni migliori; e nell’agosto 1986, dopo aver timbrato 17 volte in 70 uscite coi Gunners, va a svernare al Portsmouth. Alla prima stagione al Fratton Park riporta i Pompey in First Division, traguardo che il club inseguiva da quasi trent’anni.Divorziato dal 1989 e unitosi in seconde nozze con Dedi (dalla prima moglie Alison, sposata nel 1976, ha avuto tre figli), dopo il ritiro prova per un po’ a fare il “commercial manager” del Colchester United prima di allenare i ragazzini in Giappone come membro di un programma tecnico internazionale organizzato da Charlie Cooke. Prima di metter su un’agenzia di rappresentanza di calciatori, lavora anche come opinionista alla BBC Radio Lancashire nel Friday-night Non-League Hour, talk-show del venerdì sera dedicato al calcio minore. Ma il richiamo del campo è troppo forte. Dopo un breve ritorno in Inghilterra come istruttore alla Bolton School, rientra negli States per allenare le giovanili dell’S.C. Del Sol a Phoenix, Arizona. Nell’autunno 2003, diventa assistente allenatore alla Harvard University. Nel 2004, lo chiamano come secondo di Steve Nicol, ex difensore del Liverpool e della nazionale scozzese, i New England Revolution della Major League Soccer.Un mese fa, le voci di un suo ritorno a casa, come vice se non capo allenatore, al Plymouth Argyle, in ambasce nel Championship, la cadetteria inglese. Voci corroborate dalle sue dimissioni del 17 ottobre e presto confermate: già l’indomani gli viene affidata la panchina di head coach del suo vecchio club, con Paul Sturrock che resta come manager. Il cerchio si chiude là dove tutto era cominciato.
di Christian Giordano, da http://footballpoetssociety.blogspot.com

giovedì 21 luglio 2011

Questo è un lavoro per Supermac.

Malcom McDonald
Comincia la carriera da terzino nel Tonbridge prima di arrivare, nell’agosto 1968, al Fulham, dove Bobby Robson lo avanza a centravanti. Quando Robson se ne va, MacDonald cade in disgrazia e nell’estate 1969 viene ceduto al Luton Town per 30 mila sterline. In due stagioni agli Hatters viaggia a oltre un gol ogni due partite: 49 in 88 gare di campionato. Nel maggio 1971 il Newcastle United lo firma per 180 mila sterline, allora record del club. Nel Tyneside, Macdonald diventa l’idolo più grande dai tempi di Jackie Milburn. In uno dei suoi primi match coi Magpies (si dice “mègpìs”, non “megpàis”) rifilò una tripletta al Liverpool, e per tutte le sue cinque stagioni fu il miglior marcatore del Newcastle, segnando un totale di 138 gol in 258 presenze. Quando i Magpies raggiunsero la finale di FA Cup, nel 1974, andò a rete in tutti i turni della competizione, e l’anno seguente eguagliò il record realizzativo individuale con l’Inghilterra infilando una cinquina contro Cipro. Di conseguenza, l’intero Tyneside restò di sale quando, nell’agosto del 1976 per 333.333 sterline, lasciò St James’s Park per l’Arsenal. Nella sua prima stagione ad Highbury, con 25 gol vinse la classifica marcatori della First Division. Nel 1977-78 trascinò i Gunners alla finale di FA Cup, persa 1-0 contro l’Ipswich Town. La stagione seguente, dopo appena quattro partite, subì un serio infortunio a una gamba in una trasferta di Coppa di Lega contro il Rotherham United. Nel luglio 1979, a soli 29 anni, Malcolm Macdonald annuncia il ritiro. In poco più di due stagioni ad Highbury, aveva realizzato 27 gol in 107 partite fra campionato e coppe. Al Craven Cottage torna come dirigente di marketing, poi viene nominato allenatore. Nei suoi primi mesi in carica, tiene il club alla larga dalla zona-retrocessione in Fourth Division e nell’1981-82 guida il club alla promozione in seconda divisione.La stagione seguente per poco non porta i Cottagers alla massima serie, ma nel marzo 1984, in seguito a rivelazioni sulla sua vita privata, lascia il Fulham per gestire un pub a Worthing. Rientra nel calcio come manager dell’Huddersfield Town prima di trasferirsi, nel 1993, a Milano come impiegato nelle telecomunicazioni sportive. Per un periodo fa anche il procuratore calcistico e contribuisce a portare al St. James’s Park un suo assistito, la (presunta) stella brasiliana Mirandinha.Da allora è nel cosiddetto “after-dinner circuit” come speaker, oltre che commentatore per radio locali e columnist del nord-est dell’Inghilterra. Celebre il suo talk-show radiofonico sull’emittente Century FM intitolato "The 3 Legends". Con Supermac, le altre due leggende sono Eric Gates e Bernie Slaven.
di Christian Giordano, da http://footballpoetssociety.blogspot.com

mercoledì 13 luglio 2011

Un Arsenal(e) di problemi

Arsene Wenger sarebbe un ottimo uomo d’affari. Compra a poco, valorizza, rivende a caro prezzo. Il problema però è che fa l’allenatore dell’Arsenal. E il calcio non è (solo) una questione di soldi. Nel calcio contano i trofei: e la bacheca dei Gunners, vuota da 6 anni, rischia di accumulare ancora più polvere. Arsene Wenger dovrà sudare sette camicie per trattenere i suoi gioelli. Il progetto, a dire la verità, è di quelli da illuminare gli occhi. Squadra giovane, fresca, che gioca un calcio di qualità e diverte. Piccolo problema: non vince. Il perché? Forse è troppo acerba, forse troppo presuntuosa nei momenti che contano, forse è semplicemente sfortunata. Ma fatto sta che i tifosi stanno perdendo la pazienza. E non solo loro: da qualche estate infatti, puntuale come un orologio, qualche campioncino dell’Emirates Stadium ha il mal di pancia. E con altrettanto tempismo il buon Arsène cerca di farglielo passare. Con scarsi risultati: casi come quelli di Kolo Tourè, Adebayor, Eduardo o il più anziano Gallas parlano da soli. Quest’anno è già andato via Clichy, passato al Manchester City. E potrebbe essere il turno di Samir Nasri, folletto francese voluto da mezza Europa, e soprattutto di Cesc Fabregas, il capitano, da diversi anni richiesto dal Barcellona, la squadra che se lo fece soffiare appena 17enne. Dovessero partire loro, l’obiettivo di tornare a vincere qualcosa al più presto sarebbe ancor più remoto. Certo si potrebbe monetizzare per poi reinvestire, ma Fabregas e Nasri sono giocatori difficili da rimpiazzare. Allora ecco che Wenger raddoppia gli sforzi per trattenerli, proponendo al francese un considerevole aumento di stipendio e fissando il prezzo del catalano a 40 milioni, non un euro di meno. Due mosse abili, ma che forse non basteranno a trattenere i due gioielli. Perché loro vogliono vincere. E forse la casacca dell’Arsenal non è quella giusta per riuscire a cucirsi qualche trofeo sul petto. C’è ancora tempo per riuscire a convincerli, ma l’impressione è che alla fine almeno uno dei due se ne andrà. E sarebbe un brutto colpo per i tifosi dei gunners, nostalgici dei tempi che furono di Henry e Ljungberg, dove vincere era diventata un’abitudine. Ma si sa, la speranza è l’ultima a morire..

domenica 19 giugno 2011

Quel minuto che fece la storia..


A volte mi sono fatto (ovviamente da solo…chi vuoi che mi faccia una domanda simile fra amici e parenti?) a bruciapelo questa domanda: quali sono i tre momenti che ti hanno fatto innamorare del calcio inglese? Come per una storia d’amore, ricordare i brividi e le emozioni degli inizi è un tributo alla nostalgia che ogni tanto bisogna pagare…e ogni volta, prima di rispondere, parto per un viaggio nella memoria, fra momenti ‘vissuti’ e altri solo ‘tramandati’ da libri, video, programmi…la ‘classifica’ finale risente degli umori del momento, ma la hit che non manca mai è ‘quel’ minuto di Anfield Road, quando l’Arsenal conquistò il titolo all’ultimo respiro dell’ultima partita di campionato, strappandolo dal petto dei Reds che già lo celebravano cullati dalla Kop e dal suo ‘You’ll never walk alone’ da brividi…me lo ricordo bene quel dolcissimo pomeriggio di tarda primavera, con la scuola ormai agli sgoccioli e le ore divise fra lunghe maratone di sport in tv e interminabili partite di calcio o tennis…quel 26 maggio 1989, però, non c’erano stati svaghi…il perché lo capivo solo io, ma fra l’incredulità dei miei amici mi chiamai fuori perché ‘c’era la partita’…’ma quale partita?’, chiedevano increduli…era venerdì, quindi niente serie A né coppe europee…alzata di spalle, sorriso di ‘compassione’ e poi via a riprendere il ‘calcio giocato’…più o meno la stessa sospettosa diffidenza con cui i miei mi vedevano armeggiare con l’antenna TV per essere sicuro di sintonizzare in maniera decente TMC…eppure era dal 1952 che un titolo inglese non si assegnava nello scontro diretto all’ultima giornata (allora l’Arsenal ne prese sei (a uno) dallo United, un precedente non proprio incoraggiante per i Gunners)…ma la ‘relatività’ l’avrei metabolizzata solo anni dopo, in quel momento la loro indifferenza mi sembrava folle almeno quanto a loro la mia tensione…una tensione che sul piano calcistico trovo peraltro assolutamente giustificata ancora oggi…si arrivava da una stagione straordinaria in tutti i sensi…la mia Inter aveva appena vinto lo ‘scudetto dei record’ (ahimè anche l’ultimo da allora…), un mese prima c’era stato Hillsborough…momenti ugualmente indimenticabili, per ragioni opposte, che sembravano trovare la loro composizione nell’ultimo atto che si andava preparando ad Anfield Road…tardi, rispetto al calendario inglese, proprio a causa dello stop decretato per onorare le vittime dell’assurda tragedia di Sheffield e cercare di capire ancora una volta come si possa morire per una partita di calcio…nel frattempo il Liverpool aveva onorato a modo suo la memoria dei suoi tifosi, vincendo la FA Cup a spese dell’Everton e continuando l’incredibile striscia positiva di 23 partite senza sconfitta (20 vittorie e 3 pareggi) a partire da Capodanno…una forma che aveva permesso ai Reds di rimontare ben 14 punti di distacco nel giro di tre mesi e prendersi la testa della classifica…a questo punto, dopo aver demolito per 5-1 il West Ham nell’ultimo recupero, il Liverpool aveva tre punti di vantaggio sui Gunners ed una migliore differenza-reti…la squadra di George Graham avrebbe dovuto vincere con almeno due gol di scarto, cosa che nelle ultime quattro stagioni era successa ad Anfield solo una volta (per mano dell’Everton)…peraltro l’Arsenal era in piena crisi, dopo aver dilapidato un vantaggio che in primavera pareva rassicurante e aver fatto solo un punto nelle ultime due gare casalinghe contro Derby (1-2) e Wimbledon (2-2, e pensare che alla prima giornata i Gunners avevano demolito per 5-1 la Crazy Gang fresca vincitrice della FA Cup…)…la stampa non attribuiva alcun credito alle speranze dei londinesi, e per molti il Double sarebbe stato quasi un ‘risarcimento’ alla memoria delle vittime di Hillsborough…in giro c’era quasi ‘simpatia’ per il Liverpool, un po’ come nel 1953 tutti tifavano Blackpool nella finale di FA Cup, spingendo Matthews verso quella medaglia che pareva inafferrabile…provano a pensarla diversamente i Gunners, e O’Leary dichiara: ‘i miracoli accadono. Una cosa è certa, daremo tutto per rendere loro la vita difficile’…già, un miracolo calcistico è proprio quello che ci vorrebbe…eppure i precedenti stagionali sarebbero anche incoraggianti…in Coppa l’Arsenal si è piegato solo al 2° replay, mentre in campionato è finita 1-1…nel frattempo però sono cambiate molte cose, e le due squadre hanno condizione e morale diametralmente opposti…finalmente ci siamo, Caputi e Bulgarelli da Anfield Road (o almeno così credevo ai tempi…) leggono e commentano le formazioni, inquadrano la gara e cercano di riportare l’atmosfera a dir poco elettrica che rimbalza da Liverpool…ma proprio quando ripenso al contrasto fra l’adrenalina che colava dal piccolo schermo e l’indifferenza del mio ambiente domestico mi abbatto un po’…sarebbe stato bello respirare la stessa attesa anche da questa parte del video, commentare le possibilità dei Gunners e le scelte tattiche di Graham, i titoli dei giornali e l’esodo speranzoso dei tanti partiti in mattinata da Islington alla volta di Anfield…sarebbe stato bello insomma vederla con un appassionato, magari un tifoso…tipo Nick Hornby, per esempio, uno che sulla sua ossessione per l’Arsenal ha scritto addirittura un libro, Fever Pitch…un libro meraviglioso, in cui qualifica questa serata come ‘il più grande momento in assoluto’…ne fa un racconto emozionato e coinvolgente…come piacerebbe a me, che mi abbandono alla fantasia e mi vedo seduto di fianco a lui, teso ma disincantato, in attesa del fischio d’inizio…
Io: ‘allora Nick, come hai passato la giornata?’ gli chiedo fra l’ironico e il provocatorio.
Lui: ‘la verità? stamattina sono andato ad Highbury a comprare questa maglia nuova, così tanto per fare qualcosa…capisco che indossarla davanti al televisore non aiuterà molto i ragazzi, ma almeno mi ha fatto sentire meglio…a mezzogiorno, intorno ad highbury c’erano già decine di pullman e macchine, e tornando a casa ne ho incrociati parecchi assurdamente ottimisti…sono stato male per loro, davvero…erano solo uomini e donne che andavano ad Anfield a perdere al massimo un campionato, ma a me sembravano soldati in partenza per una guerra senza ritorno…’
Io: ‘insomma non ci credi proprio…però hai comprato una maglia nuova per l’occasione…’ lo martello adocchiando la replica shirt nuova di zecca.
Lui: ‘Che vuoi che ti dica, dopo tanti anni ho smesso di crederci davvero…Dal 1971 non siamo mai stati davvero in corsa per il titolo, anche se un paio di anni fa restammo in testa per qualche giornata…in questi anni ho visto decine di partite, moltissime di campionato, e quasi tutte senza alcun risvolto di classifica…è chiaro che alla fine ti abitui, e anche se un tifoso dovrebbe sempre covare l’illusione della vittoria, io avevo ormai abdicato ogni speranza di lottare per il titolo…quest’anno, poi…con una squadra così giovane, l’unico innesto di Steve Bould dallo Stoke e i bookmakers che in estate ci pagavano 16-1 per la vittoria finale, non avrei mai pensato di dover tornare a soffrire così per un campionato prima sfiorato e poi regalato per così poco…’
Io: ‘Quest’anno solare però lo avete iniziato in testa e ci siete rimasti quasi fino a oggi, quindi un po’ ti sarai fatto coinvolgere…’.
Lui: ‘Un po’? Faccio fatica ad ammetterlo anche a me stesso, ma dentro ho un vulcano in eruzione…anche se non è così dall’inizio…ricordi la prima di campionato, in casa del Wimbledon? Fashanu in gol dopo sette minuti…non proprio l’inizio che ogni tifoso sogna…poi per fortuna il loro portiere finì dentro la porta con un pallone innocuo fra le braccia e ci regalò il pareggio…poi si scatenò Alan Smith e finì 5-1 per noi…alla fine quasi non capivo cosa fosse successo…’
Mi faccio trasportare nel ‘film’ della stagione che si conclude stasera e lo stimolo sui momenti salienti: ‘Rimonta-episodi fortunati-Alan Smith…tre costanti di tutta la stagione’
Lui: ‘Già, hai proprio ragione…Alan è stato straordinario, secondo me il migliore e spesso decisivo…di testa le ha prese tutte, ma ha inventato anche di piede alcuni gol fra il memorabile e il fortunato’. Io, che non voglio perdere l’occasione di poter finalmente parlare con qualcuno che mi capisca: ‘Tipo il pareggio a Nottingham, quando Lukic aveva regalato il pallone dell’1-0 a Clough e lui indovinò un lob dal limite dell’area mettendo il piede in una mischia selvaggia…’
Lui: ‘Giusto, vedo che il campionato l’hai seguito…comunque di gol così ne ha fatti tanti, dei 22 totali segnati fino a stasera molti sono stati cruciali…tipo il pareggio di testa in pieno recupero contro il Southampton, dopo essere stati sotto 2-0 a sette minuti dal termine, oppure quello di testa al Villa Park, saltando più in alto del portiere in uscita…in quella partita Smith fu gigantesco, completando l’opera con un’altra torre da cui scaturì il 2-0 finale sul Villa’.
Io: ‘E pensare che proprio il Villa nella gara d’andata aveva freddato gli entusiasmi del dopo-Wimbledon…’
Lui: ‘Già, quella sconfitta alla 2° di campionato, in casa, ci fece tornare subito sulla terra…per fortuna i ragazzi risposero subito alla grandissima nel derby con gli Spurs…’
Io: ‘Quella fu mitica, una delle migliori partite dell’anno…l’esordio assoluto di Gazza con la maglia degli Spurs, in casa, nel derby…le aspettative erano altissime, poi Winterburn inventò quel gol d’esterno dal limite dell’area e gelò White Hart Lane…’
Lui, rapito dal ricordo estatico di quel giorno: ‘…loro pareggiarono, ma era il nostro giorno…alla fine celebrammo il 3-2 cantando a squarciagola sulle nostre tribune, urlando ancor più forte quanto più le loro facce intorno erano scure…’
Io: ‘La rincorsa vera partì proprio da quel giorno…nonostante la sconfitta per 2-1 contro lo Sheffield Wednesday qualche settimana dopo, fino a febbraio fu un crescendo irresistibile…’
Lui: ‘Infatti fu allora che cominciai timidamente a crederci…vincemmo ad Upton Park, in casa del QPR rimontando da 0-1 a 2-1 nei minuti finali, a Coventry, a Goodison Park con l’Everton, dove uscimmo addirittura fra gli applausi…’
Io: ‘Nel frattempo ci fu anche l’andata con il Liverpool, ad Highbury, altra rimonta…’
Lui: ‘Era inizio dicembre, noi inseguivamo il Norwich capolista ed avevamo da affrontare di seguito Liverpool, Norwich e Manchester United…con i Reds fu soffertissimo…ad inizio ripresa Barnes segnò per loro…lo fece dopo uno slalom fantastico, eppure a vederlo da fermo in quei giorni pareva addirittura soprappeso…per fortuna ci pensò ancora Smith a rimettere le cose a posto, ma nel finale Barnes colpì una traversa clamorosa su punizione e poi Aldridge sbagliò un gol di testa da solo davanti a Lukic…che sospiro di sollievo, se oggi siamo ancora in corsa lo dobbiamo anche a quella partita…’
Io: ‘Però non vi è andato sempre tutto per il verso giusto…dopo l’1-1 con il Liverpool giocaste in casa della capolista Norwich e finì 0-0 dopo che l’arbitro vi fece ripetere un rigore che Marwood aveva segnato al primo tentativo…’
Lui: ‘…e che poi al secondo sbagliò…certo, qualche beffa l’abbiamo incassata anche noi…all’Old Trafford, per esempio, Adams ci portò in vantaggio, sembrava tutto fantastico, poi a una manciata di minuti dal termine sempre lui realizzò un autogol che deve aver fatto ridere tutta l’Inghilterra, noi esclusi…’
Io: ‘A quel punto eravate stati in testa per quattro mesi ma il Liverpool vi agganciò proprio quel giorno…’
Lui: ‘Precisamente…conquistammo la vetta a fine anno, dopo il successo al Villa Park, e la celebrammo nel derby di ritorno con gli Spurs…si giocò nel giorno in cui fu scoperto il nuovo orologio nella Clock End…altra giornata da ricordare, con un Merson sontuoso che realizzò l’1-0 e poi giocò un contropiede fantastico prima di servire a Thomas la palla del raddoppio…in quel momento eravamo inarrestabili…il 18 febbraio avevamo 15 punti in più del liverpool, anche se con una gara in più…15 punti, capisci?’
Io: ‘Mi ricordo bene, i Reds erano completamente fuori dai giochi, al 6° posto…e nonostante la prima mini-crisi di febbraio, dove vinceste solo 2 partite su 5 (di cui 4 in casa), i bookmakers vi davano quasi alla pari per il titolo, con il Liverpool (nel frattempo risalito a –8) pagato 16-1’.
Lui: ‘E’ lì che abbiamo cominciato a dilapidare tutto…a fine marzo andammo a vincere 3-1 a Southampton…di quel giorno mi ricordo soprattutto lo slalom fantastico di Rocastle per il 3-1 e le urla razziste dei tifosi di casa all’indirizzo dei nostri giocatori di colore…purtroppo fu una ‘sveglia’ breve, perché due settimane dopo i Reds ci affiancarono in testa…e da allora ce la giochiamo testa a testa…’
Una volta rotti gli argini, mentre giungono le prime immagini da Anfield, spostiamo l’attenzione sulle formazioni, in quel momento in sovrimpressione.
Io: ‘Graham insiste anche stasera sulla difesa a 3…va bene che ha tenuto in piedi la baracca negli ultimi due mesi, ma non è un po’ troppo difensiva visto che si deve vincere con due gol di scarto?’ Lui: ‘Credo che voglia sfruttare al massimo la nostra arma numero 1, i colpi di testa…con Adams, Bould e O’Leary contemporaneamente in campo e Smith davanti, quelli del Liverpool non la prenderanno mai…almeno spero che il motivo sia questo, e non la voglia di finire ‘con onore’ magari uscendo imbattuti da Anfield…’
La formazione del Liverpool è impressionante…in campo Nicol, Hansen, McMahon, Whelan, Barnes, Aldridge, Rush…in panchina addirittura il lusso di Peter Beardsley…mentre la leggo mi lascio sfuggire un’occhiata di ‘compassione’ verso Nick…ci vorrebbe davvero un miracolo…anche perché l’ambiente è assolutamente ‘aggressivo’…la Kop canta altissimo, sembra un urlo di battaglia che ti fa tremare dentro…Dalglish si guarda intorno come spesso fa, e sorride…sembra sicuro, e d’altra parte come potrebbe non esserlo, con 40.000 scatenati tifosi a sostenerne l’ultimo sforzo?
Si parte, la prima palla è dell’Arsenal, in una non indimenticabile divisa giallo-nera da trasferta…il contrasto con il rosso fuoco del Liverpool è quasi presagio di quello che sembra prospettarsi sul campo…la prima vera occasione è però dell’Arsenal, con Bould che a Grobbelaar battuto si vede respinto sulla linea il colpo di testa…è però l’unica vera fiammata del primo tempo, i padroni di casa provano qualche tiro da fuori ma Lukic è attento…la tensione è alta, la posta altissima, ma è chiaro che il passare dei minuti giova solo al Liverpool.
Nell’intervallo Nick è ancora più sconsolato di prima: ‘Dai Nick, lo ha detto anche Graham che lo 0-0 all’intervallo non sarebbe stato catastrofico…ci vuole un episodio, e tutto si riapre…anche loro sono uomini e sentono la tensione…’
Lui annuisce ma non ci crede…poi si riparte e l’adrenalina può scaricarsi sul campo…al minuto 52 Rocastle finisce a terra nei pressi del vertice sinistro dell’area del Liverpool…si accende quasi una mischia con Whelan che ha commesso il fallo, poi finalmente Winterburn può battere…è un attimo, la difesa si ferma e Smith è fulmineo nell’avventarsi sulla palla e sfiorarla quel tanto che basta a ingannare Grobbelaar…il tocco è così leggero che i Reds protestano con l’arbitro perché il calcio di punizione era di seconda e ritengono non l’abbia toccato nessuno…l’arbitro si consulta con il guardalinee mentre milioni di persone trattengono il fiato davanti alla TV, noi inclusi…poi punta il dito verso la metà campo e convalida…1-0, i fedelissimi giunti da Londra, stretti in un angolo dietro la porta del Liverpool fanno festa e cominciano a sperare…e anche Nick si scioglie un po’, in fondo ora serve solo un gol, e il Liverpool non sembra in grandissima serata…Ablett salva due attacchi dell’Arsenal, ma è al minuto 73 che il destino sembra compiersi…Richardson riesce a toccare verso lo smarcatissimo Michael Thomas in piena area…Thomas si gira, deve superare solo il portiere ma gli tira addosso, e tutto sembra finito…i minuti passano veloci, Nick sembra aver ‘esalato’ l’ultimo respiro di speranza sul tiro di Thomas, e così i giocatori in campo…il Liverpool cresce, quasi sollevato dall’occasione clamorosa buttata al vento dai Gunners…a un certo punto compare nell’angolo della TV perfino l’orologio, a rincarare la sofferenza di chi è davanti al video…segna 88.00, proprio mentre Beardsley si invola solo in contropiede…sembra la conclusione perfetta, la palla arriva a Aldridge che però incespica, si incarta e sciupa tutto…nell’azione è rimasto a terra a metà campo Richardson, valoroso centrocampista dell’Arsenal…i secondi scorrono mentre gli si prestano le cure…cono minuti interminabili, tutto sembra sospeso come in un fotogramma…Nick è pietrificato, mormora quasi fra se e sé ‘Buttarlo via così, incredibile…’
Io: ‘Hai ragione, se finisse così sarebbe davvero una beffa…per un gol, credo non sia mai successo…’
Lui, mentre i secondi passano e Richardson non accenna a rialzarsi: ‘Non è questione di un gol…anche dopo esserci fatti riprendere ad aprile, dopo la pausa per Hillsborough, abbiamo battuto il Norwich, era di nuovo tutto in mano nostra…poi quelle due maledette partite in casa…’
Io: ‘Derby e Wimbledon…hai ragione, un solo punto in quelle due gare è stata la fine…soprattutto il 2-2 con il Wimbledon…’
Lui: ‘Come si fa a farsi riprendere due volte, in casa, da una squadra che all’andata avevamo demolito? Winterburn aveva inventato un altro super-gol, Merson ci aveva riportato avanti dopo il pareggio di Cork…e poi, quell’esordiente, McGee, con quel tiro assurdo che non ripeterà mai più…’ conclude quasi disperato mentre Richardson finalmente si rialza.
La telecamera si sposta sui protagonisti…Dalglish è tirato ma misurato, Graham continua ad urlare suggerimenti, come se fosse ancora tutto in ballo…Barnes incita i suoi, McMahon urla che manca un minuto, uno solo…l’orologio supera i 90.45, poi scompare…ormai solo sgoccioli, la palla torna verso la porta di Lukic, è proprio un contrasto di Richardson a recuperarla…il portiere allunga a Dixon, che lancia lungo su Alan Smith…per la millesima volta in stagione il bomber dei Gunners vince il contrasto, difende la palla e poi la tocca…un tocco magico, verso il centro, dove arriva Thomas…ancora lui, che aveva sbagliato l’occasionissima qualche minuto prima…il centrocampista dei Gunners cerca di superare Nicol, tocca male ma la palla incoccia lo stinco del difensore e gli torna davanti…ora Thomas è solo, in un attimo che sembra durare un secolo si invola verso Grobbelaar, aspetta la mossa del portiere e finalmente piazza il destro alle sue spalle, in fondo alla rete, per l’incredibile 2-0…a quel punto succede di tutto, le capriole ‘elettriche’ di Thomas mentre i compagni lo raggiungono le avremmo viste solo dopo, in quel momento è come essere in un’altra dimensione, senza tempo né gravità…saltiamo tutti, increduli ma come alleggeriti d’improvviso di tutto il peso di otto mesi di passione, fatica, illusione…la partita riprende, ma non c’è più tempo, l’arbitro fischia e lo spicchio di Anfield che ospita i tifosi Gunners esplode senza argini in una felicità irripetibile…dietro la porta di Lukic qualcuno dalla Kop si sente male, viene trasportato fuori a braccia…ma vincono anche loro, che dopo qualche istante di sbigottimento per un titolo perso all’ultimo minuto dell’ultima partita intonano il più bel ‘You’ll never walk alone’ mai sentito…il coronamento più toccante ad una giornata irripetibile, mentre le telecamere fissano per sempre la disperazione di Dalglish e dei suoi, Adams che va da Aldridge ad accarezzargli i capelli (avremmo scoperto dopo che era solo una presa in giro per contrappasso a quanto Aldridge aveva fatto con Steve Chettle del Forest dopo il suo autogol nella semifinale di FA Cup…), Graham che chiama i suoi a raccolta, e infine il capitano che alza la Coppa ad Anfield…e Nick? Lui tutto questo non l’ha visto, al fischio finale si è fiondato fuori in strada gridando a piena voce, alla ricerca di una bottiglia di spumante con cui festeggiare…o forse sono io che mi sono svegliato dal mio ‘sogno’, ritrovandomi solo nella mia casa a metabolizzare l’emozione di una serata di sport che nessuna fantasia avrebbe potuto partorire…anche se non ero ad Anfield, infatti, né a Londra a guardare la partita con Nick Hornby, questa partita non la dimenticherò tanto facilmente, anche perché nulla di quello che è seguito (calcisticamente) negli anni mi ha regalato brividi così forti.
di Giacomo Mallano, da UKFP n° 8 - settembre 2004