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mercoledì 29 marzo 2017

ARTICOLO. Igors Stepanovs: il giocatore acquistato dall’Arsenal per uno scherzo

Nel sommerso del mondo del pallone ci sono storie all’apparenza inspiegabili, delle quali molto probabilmente non verremo mai a conoscenza, salvo circostanze particolari.
Quanti di voi, per esempio, vedendo giocare per la propria squadra un calciatore sconosciuto, magari goffo e impacciato, si sono domandati come abbia fatto ad essere ingaggiato? Tanti, sicuramente.
Ecco per molti questo rimarrà un enigma irrisolto, non per tutti. Qualche volta si ha la fortuna che un calciatore, magari compagno di squadra di quella “meteora, una volta appesi gli scarpini al chiodo, decida di raccontare le circostanze che hanno portato all’ingaggio di quello che tutti, sotto sotto, sapevamo non fosse stato acquistato per meriti sportivi.
E’ questo il caso di Igors Stepanovs, giocatore lettone acquistato dall’Arsenal nel 2000 e rimasto sino al 2003, ricordato quasi unanimemente dagli addetti al lavori come il peggior acquisto dell’epoca Arsene Wenger, ancora in corso.
Ecco, ma come è arrivato Stepanovs, difensore centrale di 192 centimetri, a strappare un contratto quadriennale con i Gunners?

Ce lo racconta nella sua autobiografia Ray Parlour, leggendario centrocampista inglese che ha militato nell’Arsenal per ben 15 stagioni, da quando ha iniziato nelle giovanili nel 1989 fino al 2004.

Per comprendere questa storia è doveroso fare però una premessa: all’epoca uno dei due difensori centrali, insieme a Tony Adams, era Martin Keown, centrale fantastico ma con un carattere molto particolare. Martin, a detta di Parlour, non accettava il fatto di essere messo in discussione, soffriva particolarmente la concorrenza di altri giocatori nel suo ruolo.
Ecco che l’arrivo in prova di Igors Stepanovs non era stato visto certamente di buon occhio da Keown, al quale Ray e altri suoi compagni, tra cui Dennis Bergkamp, decidono di fare uno scherzo.
Se fosse venuto qualsiasi giocatore nel suo ruolo Martin avrebbe detto che sarebbe stato inutile, e così è stato anche con Igors, che per la verità era veramente molto sotto i nostri standard dell’epoca
Inizia la partitella di allenamento e ad ogni intervento di Stepanovs si alzano grida di approvazione: “gran colpo di testa”, urla Dennis Bergkamp, seduto di fianco ad Arsene Wenger, a cui fa eco “tackle incredibile”, da parte di Ray Parlour.
In realtà il provino non procede affatto bene, tra chiusure sbagliate ed interventi maldestri, che però vengono accuratamente passati sotto silenzio dall’allegra combriccola e fatti notare dal solo Keown.
La sera stessa del provino tutti i giocatori escono a cena, tranne ovviamente Stepanovs che non fa ancora parte formalmente della squadra. Tra le risate generali Bergkamp e Parlour spiegano dello scherzo, troppo invitante una preda come Keown che abbocca all’amo così facilmente.
Dopo qualche pinta tornano tutti a casa per presentarsi in condizioni decenti il giorno successivo all’allenamento. Arrivati al campo ecco la sorpresa: Igors è là, seduto e beato, già pronto per iniziare la seduta.

“Cosa diavolo ci fa qui”? domanda un sorpreso Parlour, a cui il lettone risponde “Mi hanno acquistato, 4 anni di contratto“.

Incredibile. Arsene non si era accorto che volevamo solo prendere in giro Martin. Ha sentito solamente i nostri elogi verso Igors, inoltre se Dennis diceva qualcosa riguardo ad un giocatore Arsene lo avrebbe tenuto in grandissima considerazione, e così lo ha firmato. Pensava che a quella cifra, 1 miliardo circa, sarebbe stato un affare.
In realtà, senza mancare di rispetto a nessuno delle serie inferiori, Igors era ad un livello molto basso. Era come se avessi portato mio fratello all’allenamento.
In realtà la carriera di Stepanovs con la maglia dei Gunners comincia sotto i migliori auspici, con un gol in Coppa di Lega, che sfortunatamente per lui rimarrà anche l’unico in 17 presenze totali in tre anni. Il problema è che sta per arrivare anche uno dei momenti più bui della carriera del difensore: Febbraio 2001 l’Arsenal deve andare ad Old Trafford a sfidare lo United in una partita che, se persa, vorrebbe dire addio definitivo ai sogni di gloria.
La difesa è ridotta ai minimi termini: indisponibili entrambi i difensori centrali titolari tocca ad Igors Stepanovs completare una difesa da brividi, in senso negativo, formata da Luzhny, Grimandi e Ashley Cole.
All’intervallo il risultato è impietoso: 5-1 per i Red Devils con Dwight Yorke che fa letteralmente a pezzi la retroguardia dei Gunners.
L’Old Trafford ha un tunnel molto lungo, che ho percorso di fianco a York per rientrare negli spogliatoi. Ad un certo punto vedo che si volta e mi dice “Ma dove lo avete raccattato quel difensore”? , al che gli rispondo “Senti, è una lunga storia”.
Siamo entrati nello spogliatoio e Wenger stava dando di matto, un ruolo che non gli si addice era la prima volta che lo vedevo in quelle condizioni. Mi scappava disperatamente da ridere tanto era inusuale la situazione. Ho visto con la coda dell’occhio Pat Rice che mi guardava con un’espressione che sembrava dire: “Non ridere. Fai qualsiasi cosa ma non ridere” La partita terminerà con il risultato di 6-1, un’umiliazione per la quale Igors verrà considerato, probabilmente a ragione, uno dei maggiori responsabili fino a non vedere quasi mai più il campo.
Una storia talmente surreale da sembrare inventata, nonostante venga confermata anche nella biografia di Dennis Bergkamp, che ci ricorda che anche nel calcio dei professionisti possono succedere cose impensabili, la cui spiegazione, se non raccontata dai diretti interessati, sarebbe perfino difficile da immaginare.
Se amiamo il calcio, oltre che per le giocate e le emozioni che regala, è anche per storie come questa. da http://www.delinquentidelpallone.it

sabato 18 ottobre 2014

Wenger: "L'addio di Ashley Cole uno dei miei maggiori rimpianti"

Attraverso un'intervista al The Guardian, Arsene Wenger, tecnico dell'Arsenal, ha rivelato uno dei suoi più grandi rimpianti come tecnico di Gunners: "Fra quelli maggiori c'è senza dubbio la cessione di Ashley Cole. Lasciò l'Arsenal per un malinteso fra il club e il suo agente. Cole è un grande lottatore e lo ha mostrato per tutta la sua carriera. Doveva rimanere all'Arsenal". da http://www.tuttomercatoweb.com/

mercoledì 30 luglio 2014

Gerrard: “Suarez, sei troppo forte per l’Arsenal”

In vena di confessioni al “Telegraph” (“Sono stati i tre mesi più brutti della mia vita”, aveva detto riferendosi al finale di Premier e ai Mondiali), Steven Gerrard ne ha fatta una che farà parecchio discutere. L’anno scorso il capitano del Liverpool ha sconsigliato Luis Suarez di passare all’Arsenal. ”Mi ricordo che all’epoca gli dissi: non andare all’Arsenal! Sarei rimasto veramente deluso se ci fosse andato. Con tutto il rispetto che ho per loro, gli spiegai che era troppo forte per l’Arsenal”. Gerrard si è poi detto “triste” per l’addio del Pistolero ma al contempo “felice per lui” perché “era quello che voleva e che meritava. Il suo sogno – conclude il capitano dei Reds – era quello di giocare per il Real o il Barcellona”.
da http://inthebox.gazzetta.it/

lunedì 12 dicembre 2011

Una giornata speciale..

quella di sabato, prima della partita contro l'Everton, l'Arsenal ha festeggiato i 125 anni di vita con l'inaugurazione di tre statue, quella di Thierry Henry che vediamo commosso mentre parla ai tifosi, guardato a vista da Wenger.
la seconda statua (non per ordine d'importanza) è di Tony Adams
la terza, è del Manager Herbert Chapman (1925-1394)
 per l'occasione l'Arsenal ha giocato con questa maglia..
a festeggiare i Gunners anche vecchie glorie.. vediamo Lehmann, Lauren, Dixon e Parlour.. neanche tanto vecchie..

domenica 11 dicembre 2011

Eretta statua di Thierry Henry davanti all'Emirates Stadium

Per il 125esimo anniversario dell'Arsenal è stata eretta una statua raffigurante Thierry Henry (226 gol con i Gunners dal 1999 al 2007) a Londra nei pressi dell'Emirates Stadium. "Non l'avrei immaginato nemmeno nei sogni più folli" ha commentato l'attaccante francese. Oltre ad Henry sono state erette le statue di altri due "bandiere" dell'Arsenal, Tony Adams e Herbert Chapman.
Se non fossero bastati 226 reti segnate in 8 anni, Thierry Henry ora può dirsi ufficialmente nella storia dell'Arsenal. E' stata infatti inaugurata ieri una statua raffigurante l'attaccante francese a Londra nei pressi dell'Emirates Stadium, impianto dei "Gunners". In questo weekend l'Arsenal festeggia infatti il 125esimo anniversario, e per l'occasione sono state erette altre due statue di altrettanti "simboli" del club inglese. La scultura raffigurante Henry nella sua esultanza più tipica (scivolata sulle ginocchia) sarà accompagnata da quelle di Tony Adams, ex capitano e difensore dei Gunners, e di Herbert Chapman, ex allenatore dei biancorossi con i quali vinse i campionati 1930-'31 e 1932-'33. "Nemmeno nei miei sogni più folli - ha commentato Henry - avrei immaginato che un giorno avrebbero eretto una mia statua davanti allo stadio della squadra per cui ho giocato e che amo e sostengo". Henry ha vestito la maglia dell'Arsenal dal 1999 al 2007 vincendo per due volte la Premier League e altrettante Coppe d'Inghilterra. Nel 2006 ha avuto la possibilità di guidare i Gunners alla vittoria della Champions League, ma nella finale di Parigi perse contro il Barcellona di Ronaldinho. da http://www.mainfatti.it/ 

sabato 23 luglio 2011

Il giorno del cappellaio matto.

1988 Arsenal-Luton Town, Final League Cup
Tranquilli amanti del calcio inglese, in questo pezzo non si faranno analisi psicologiche sui personaggi del celebre libro di Carrol “Alice nel paese delle meraviglie”, qui si parla di calcio inglese, di quello un po’ datato, in sostanza di quello che in fine amiamo di più. Sembra di stare a parlare di epoche lontanissime eppure poco più di venti anni fa il nostro amato football viveva una dimensione enormemente diversa rispetto a quella odierna. Il calcio inglese, esiliato dal resto d’Europa dalla vigliacca sentenza post-Heysel che colpi tutto il movimento calcistico di sua maestà e non solo il Liverpool come giustizia avrebbe voluto, era un calcio autarchico snobbato da investitori e campioni esteri e per questo con il livello medio più equilibrato. In questo contesto storico il Luton Town, piccola squadra della cintura londinese, visse il suo moneto di gloria massima. Dicevamo che erano altri tempi, in quei tempi là succedeva che i “cappellai” di Luton ( il soprannome The Hatters era dato dal fatto che il distretto di Luton fin dal diciassettesimo secolo era il maggior produttore di cappelli di paglia e non ) erano da tempo frequentatori dell’allora first division inglese, nella stagione 86/87 addirittura centrarono il settimo posto, e quindi si erano ritagliati una credibilità notevole ma nessuno avrebbe scommesso su una loro vittoria nella finale di Coppa di Lega del 1988. In un Wembley gremito, di fronte a 96000 il persone il 24 aprile dell’88 l’Arsenal di George Graham affronta il piccolo Luton Town guidato da Ray Harford. Sulla carta i gunners partono con il favore del pronostico anche se come accennato poco fa negli anni 80 i giant killing erano molto più frequenti, si pensi solamente che due anni prima, nel 1986, la Coppa di Lega fu alzata in cielo dal capitano dell’Oxford United. In campo 22 giocatori di cui 21 inglesi e uno ( il portiere del Luton Dibble ) gallese, erano proprio altri tempi. I Gunners partono forte e menano le danze ma già al 13’ si hanno le avvisaglie che sarà un pomeriggio storico; Brian Stein sfrutta al meglio un assist di Steve Foster e taglia fuori tutta la difesa dell’Arsenal battendo Lukic da pochi metri: 1-0 tra l’incredulità generale. Il club di Highbury si lancia al contrattacco, le giocate di Rocastle, Micheal “history man” Thomas, i guizzi del leggendario attaccante Alan Smith sbattono però contro la diga eretta dal Luton a difesa della porta di Andy Dibble. La sensazione generale è quella che una volta trovato il gol del pari l’Arsenal possa far sua la gara. Nel secondo tempo accade ciò che tutti si aspettavano, in soli 5 minuti i gunners ribaltano la situazione:al 71’ gol del pari in mischia di Hayes, subentrato ad uno spento Groves, ed al 74’ il bomber Smith come da prassi timbra il cartellino a seguito di una rocambolesca azione che dimostra come la difesa degli Hatters fosse ancora in tilt dopo il aver subito il gol del pari. A questo punto i Gunners dilagano, Rocastle porta a spasso il pallone in area avversaria, Donaghy ingenuamente lo tocca ( ma forse no, probabilmente stiamo parlando di uno dei primi grandi tuffi in area di rigore che la mia memoria di appassionato di brit-football ricordi ) , rigore. Dal dischetto la leggenda Nigel Winterburn si appresta a dare il colpo di grazia al Luton, succede però che Dibble sventa la minaccia con un gran balzo sulla sua sinistra tenendo in gioco gli Hatters per gli ultimi leggendari dieci minuti. Chi ha letto Febbre a 90 di Hornby sa di cosa sto parlando: arriva puntuale in area Gunners il disastro di Gus Ceasar, centrale non nuovo a leggerezze leggendarie, che cicca il rinvio su retropassaggio di testa di Sansom innescando una azione confusa che dopo tiri e rimpalli porta al gol del pari di Danny Wilson al 82’. Sconcerto tra i gunners, difesa storicamente solida che già aveva in Tony Adams la sua colonna. Lo stesso Adams, già capitano all’epoca, al 90’ stende da par suo Mark Stein, punizione ineccepibile battuta da Danny Wilson, Adams libera di testa ma il nuovo entrato Grimes scodella di nuovo in area, è il 90’, e Brian Stein, ancora lui brucia tutti in anticipo e trasforma il sogno in realtà, 3-2 ed il Luton Town è nella storia. Le parabole dei 2 club saranno opposte, quell’Arsenal sotto la sapiente guida di Graham vincerà il campionato l’anno seguente dopo anni di digiuno e da quel momento inizierà una escalation poderosa mentre il piccolo Luton dopo questo trionfo atteso ben 103 anni arriverà di nuovo in finale di Coppa di Lega l’anno successivo perdendo però contro il Forest 3-1. Dopo questo meraviglioso biennio inizia la lunga caduta all’Inferno dei “cappellai” che culmina con la retrocessione l’anno scorso stagione 2008/09 dalla 4 divisione(a noi vecchi piace ancora chiamarla cosi)alla Conference. Un grande rammarico per il Luton Town sarà non disputare alcuna competizione europea per via del noto bando alle squadre inglesi, rammarico che nel tempo colpirà pure Oxford Utd e Wimbledon ma questa è un’altra pagina di un calcio che non c’è quasi più: il calcio dei piccoli miracoli, dei clamorosi giant-killing, il calcio delle squadre inglesi con giocatori britannici, il calcio dei cari vecchi tempi e a quello spirito ormai quasi scomparso a cui questo piccolo articolo vuol rendere omaggio.
di Charlie Del Buono, da http://ukfootballplease.blogspot.com

venerdì 22 luglio 2011

Vestivamo alla Mariner

Paul Mariner
Comincia a giocare dalle sue parti, nel Lancashire, al Chorley, club dilettantistico di non-League, prima di essere ceduto al Plymouth Argyle per quattro soldi nel luglio 1973. Poche settimane della nuova stagione e Paul Mariner ha già rubato il posto a Jimmy Hinch, mettendosi in luce come uno dei migliori attaccanti della Third Division. Nel 1975-76, in coppia con Billy Rafferty trascina l’Argyle alla promozione in Second Division. Su di lui mettono gli occhi club di First Division quali Ipswich Town, West Bromwich Albion e West Ham United, ma è di Bobby Robson, nell’ottobre 1976, la padriniana offerta che il club del Devon non può rifiutare. Con sette gol in dieci giornate di campionato, Mariner stava già dimostrando di saper segnare in Division Two come faceva in Division Three, e così l’Argyle ne accetta la valutazione fatta dall’Ipswich: 220.000 sterline più i cartellini di Terry Austin e John Peddelty.La grande considerazione in cui Robson teneva Mariner al club continua quando il futuro Sir Bobby lascia l’Ipswich per la nazionale inglese, sogno che grazie a lui Paul realizza sei mesi dopo l’arrivo al Portman Road e che si spezzerà dopo 35 presenze e 13 reti.Al primo anno coi Blues, in 31 partite segna 13 gol compresa la tripletta nel 4-1 casalingo sul West Ham United. Nel 1977-78, con 22 reti è il miglior marcatore dei suoi e si porta a casa il pallone firmando un hat-trick nel 6-1 esterno sul Millwall nel sesto turno di FA Cup. Campagna chiusa in gloria con l’1-0 in finale sull’Arsenal. Guida la classifica marcatori anche nel 1978-79 e nel 1979-80, annata conclusa con la tripletta nel 6-0 sul Manchester United. Nelle ultime tre stagioni al Portman Road bolla sempre meno, ma ha in carniere 131 gol in 339 partite quando, nel febbraio 1984, firma per l’Arsenal e 150.000 sterline. Già nella fase discendente della carriera, ad Highbury vive i suoi anni migliori; e nell’agosto 1986, dopo aver timbrato 17 volte in 70 uscite coi Gunners, va a svernare al Portsmouth. Alla prima stagione al Fratton Park riporta i Pompey in First Division, traguardo che il club inseguiva da quasi trent’anni.Divorziato dal 1989 e unitosi in seconde nozze con Dedi (dalla prima moglie Alison, sposata nel 1976, ha avuto tre figli), dopo il ritiro prova per un po’ a fare il “commercial manager” del Colchester United prima di allenare i ragazzini in Giappone come membro di un programma tecnico internazionale organizzato da Charlie Cooke. Prima di metter su un’agenzia di rappresentanza di calciatori, lavora anche come opinionista alla BBC Radio Lancashire nel Friday-night Non-League Hour, talk-show del venerdì sera dedicato al calcio minore. Ma il richiamo del campo è troppo forte. Dopo un breve ritorno in Inghilterra come istruttore alla Bolton School, rientra negli States per allenare le giovanili dell’S.C. Del Sol a Phoenix, Arizona. Nell’autunno 2003, diventa assistente allenatore alla Harvard University. Nel 2004, lo chiamano come secondo di Steve Nicol, ex difensore del Liverpool e della nazionale scozzese, i New England Revolution della Major League Soccer.Un mese fa, le voci di un suo ritorno a casa, come vice se non capo allenatore, al Plymouth Argyle, in ambasce nel Championship, la cadetteria inglese. Voci corroborate dalle sue dimissioni del 17 ottobre e presto confermate: già l’indomani gli viene affidata la panchina di head coach del suo vecchio club, con Paul Sturrock che resta come manager. Il cerchio si chiude là dove tutto era cominciato.
di Christian Giordano, da http://footballpoetssociety.blogspot.com

giovedì 21 luglio 2011

Questo è un lavoro per Supermac.

Malcom McDonald
Comincia la carriera da terzino nel Tonbridge prima di arrivare, nell’agosto 1968, al Fulham, dove Bobby Robson lo avanza a centravanti. Quando Robson se ne va, MacDonald cade in disgrazia e nell’estate 1969 viene ceduto al Luton Town per 30 mila sterline. In due stagioni agli Hatters viaggia a oltre un gol ogni due partite: 49 in 88 gare di campionato. Nel maggio 1971 il Newcastle United lo firma per 180 mila sterline, allora record del club. Nel Tyneside, Macdonald diventa l’idolo più grande dai tempi di Jackie Milburn. In uno dei suoi primi match coi Magpies (si dice “mègpìs”, non “megpàis”) rifilò una tripletta al Liverpool, e per tutte le sue cinque stagioni fu il miglior marcatore del Newcastle, segnando un totale di 138 gol in 258 presenze. Quando i Magpies raggiunsero la finale di FA Cup, nel 1974, andò a rete in tutti i turni della competizione, e l’anno seguente eguagliò il record realizzativo individuale con l’Inghilterra infilando una cinquina contro Cipro. Di conseguenza, l’intero Tyneside restò di sale quando, nell’agosto del 1976 per 333.333 sterline, lasciò St James’s Park per l’Arsenal. Nella sua prima stagione ad Highbury, con 25 gol vinse la classifica marcatori della First Division. Nel 1977-78 trascinò i Gunners alla finale di FA Cup, persa 1-0 contro l’Ipswich Town. La stagione seguente, dopo appena quattro partite, subì un serio infortunio a una gamba in una trasferta di Coppa di Lega contro il Rotherham United. Nel luglio 1979, a soli 29 anni, Malcolm Macdonald annuncia il ritiro. In poco più di due stagioni ad Highbury, aveva realizzato 27 gol in 107 partite fra campionato e coppe. Al Craven Cottage torna come dirigente di marketing, poi viene nominato allenatore. Nei suoi primi mesi in carica, tiene il club alla larga dalla zona-retrocessione in Fourth Division e nell’1981-82 guida il club alla promozione in seconda divisione.La stagione seguente per poco non porta i Cottagers alla massima serie, ma nel marzo 1984, in seguito a rivelazioni sulla sua vita privata, lascia il Fulham per gestire un pub a Worthing. Rientra nel calcio come manager dell’Huddersfield Town prima di trasferirsi, nel 1993, a Milano come impiegato nelle telecomunicazioni sportive. Per un periodo fa anche il procuratore calcistico e contribuisce a portare al St. James’s Park un suo assistito, la (presunta) stella brasiliana Mirandinha.Da allora è nel cosiddetto “after-dinner circuit” come speaker, oltre che commentatore per radio locali e columnist del nord-est dell’Inghilterra. Celebre il suo talk-show radiofonico sull’emittente Century FM intitolato "The 3 Legends". Con Supermac, le altre due leggende sono Eric Gates e Bernie Slaven.
di Christian Giordano, da http://footballpoetssociety.blogspot.com

sabato 18 giugno 2011

Le grandi emozioni del calcio inglese: season 1988/89

La stagione calcistica 1988/89 rimarrà per molto tempo scolpita nella memoria di tanti appassionati di calcio. Probabilmente le emozioni legate anche a episodi tragici vissute in quell’anno hanno determinato parecchi punti di svolta nel calcio britannico. La squalifica delle squadre inglesi era ancora vigente, e l’Europa non poteva annoverare nel tabellone delle sue competizioni quella che probabilmente era la squadra pìù forte (forse assieme al Milan), ovvero il Liverpool. Quella squadra attraverso i vari Grobelaar, Whelan, Houghton, Barnes, Aldrige, Nicol ed altri continuava in patria le gesta di un Club che vinse dall’inizio degli anni 80, 2 coppe campioni e 6 campionati di cui l’ultimo nella stagione 87/88. La nazionale è reduce da un campionato Europeo, giocato in terra tedesca, allucinante, venendo eliminata al primo turno. Nel 1988 era definitivamente tramontata la stella dell’Everton (campione d’Inghilterra nelle stagioni 84/85 e 86/87, e coppa delle coppe 1984/85), era lontano a nascere il Man Utd mentre il Chelsea militava in Second Division così come il Leeds United. Nella stagione 1988/89 non si usava portare in panchina il secondo portiere e le rose prevedevano in panchina solo due giocatori per parte. In quell’anno un tifoso poi divenuto celebre, continuava a tormentarsi e a tifare Arsenal. Purtroppo le barriere che ora non dividono più le tribune dal campo, in quegli anni e in diversi stadi ammonivano sinistri presagi. Il campionato parte ed i Reds appaiono di gran lunga la squadra favorita, anche se la testa della classifica vede primeggiare anche altre squadre tra cui per diverse giornate i canaries del Norwich City. Si disputano ottime partite. Gli appassionati italiani hanno la possibilità di seguire il campionato in Tv, Tmc possiede i diritti sia della Big League che della Fa Cup e trasmette diversi incontri in diretta. Ricordo un vibrante Merseyside Derby giocato al Goodison Park (1-1), un’avvincente Tottenham Liverpool giocata il Lunedì di Pasqua (1-2). L’ Fa Cup con il suo carico di storia regala al terzo turno l’avvincente vittoria del Sutton Utd ai danni del Coventry City detentore della coppa. Il Sutton Utd militava nella Vauxhall Conference, ovvero il nostro interregionale. Militano invece in Big League squadre ora relegate nei meandri delle serie inferiori, Clubs che da allora ad oggi sono morti e rinati più volte, alcuni nomi su tutti Newcstle Utd, QPR, Luton Town, Milwall, Nottm Forest ed altri ancora. Il livello generale del gioco purtroppo denota l’assenza di un valido confronto con il calcio del resto d’Europa dovuto come già detto alla squalifica del dopo Heysel, ma è comunque vero football made in Uk. Il 15 aprile 1989, alle spalle di Grobbelaar all’Hillsbrough di Sheffield durante la semifinale di Fa Cup tra Liverpool e Nottingham Forest si compie la tragedia. Vengono aperte le porte di una tribuna a gente sprovvista di biglietti e moltissime persone rimangono schiacciate contro le ringhiere che separano le gradinate dal campo. Persero la vita quasi 100 persone. Mai come in quel periodo il “You’ll never walk alone” fu l’inno del Liverpool. Ora, purtroppo anche i Reds sono colpiti nella storia da una tragedia. I fiori sotto la Kop resteranno a lungo l’immagine di un ricordo indelebile che tanta gente ha saputo tributare alle vittime. La semifinale si rigioca il Liverpool travolge gli arceri di Clough e approda alla finale. Il traguardo da raggiungere rappresenta un tributo nei confronti delle vittime. La finale di Wembley è in realtà un Merseyside derby, infatti a contendere la coppa del torneo più vecchio del mondo è l’ Everton. Finisce spettacolarmente 3-2 ed il Liverpool alza al cielo la coppa con tutto il suo significato. Spariranno le barriere, sparirà la Kop, non ci sarà più il fiume giallo, non si vedrà più lo spettacolare avanzare verso il campo di un’onda di gente accalcata su se stessa. L’Arsenal è un po meno Boring Arsenal e fino alla fine tiene testa al Liverpool e nonostante passi fassi casalinghi a poche giornate dal termine, il 26 maggio 1989 deve scendere in campo ad Anfield Road e vincere per 2-0 per raggiungere in testa alla classifica i Reds e vincere il titolo grazie alla differenza reti. Quello che si compie quella notte ad Anfield, tutto è fuorchè logica. Solo un film può raccontare emozioni che sembrano impossibili da vivere. In realtà la stagione calcistica 1988/89 è un film emozionante, un grande film. Il Liverpool stanco del fine stagione è comunque una squadra che entusiasma per il gioco proposto. Ma il Liverpool del 26 maggio 1989 è stanco, si vede, l’Arsenal vince. 2-0. Al 90’. E’ Thomas a segnare il 2-0, diventerà The History Man. Sparirà il Boring Arsenal. Per me invece Liverpool vs Arsenal 0-2 è semplicemente The History Match, e ricorderò per sempre l’immagine in Tv di un Kenny Dalglish impietrito a fissare l’infinito. La passione per il calcio inglese passa in secondo piano quando ancora oggi mi chiedo quanti tra i milioni di tifosi del calcio conoscano l’epilogo della Big League 1988/89. Credo che chi quella sera abbia assistito in Tv a quei momenti irripetibili, non possa nascondere l’estasi di quell’atmosfera che solo il calcio inglese può trasmettere. Nick Hornby, il tifoso che prima si tormentava scriverà un libro che poi diventerà anche un film sulla magia di quell’evento. Penso
concludendo, che la stagione 1988/89 rappresenti un punto di svolta per tanti aspetti oltre a quelli descritti. Le stagioni che seguiranno segnano infatti l’esplosione per l’attenzione rivolta al campionato inglese dalle Televisioni di tutto il mondo. Di lì a poco in Italia il Campionato Inglese si potrà gustare solo pagando, le partite del Tottenham sono proposte a ripetizione perché tra le sue fila un giovane emergente è conteso da mezza europa mentre in patria viene bersagliato dalle tavolette di cioccolato. Il 27 maggio 1989 la nazionale inglese batte la Scozia per 2 reti a zero a Glasgow. Per problemi di ordine pubblico sarà l’ultima delle sfide annuali che si disputano ininterrotamente dal 1872. Sparirà a breve anche la Big League o First Division, come dir si voglia, e nascerà la Premier League. Continueranno le emozioni !!!
di Michele Vello da UKFP n° 1 - dicembre 2002

martedì 14 giugno 2011

Chapman, tutta colpa del Sistema

Un solo uomo al comando: primo in tutto, migliore di tutti. Ecco che cosa è stato, per i suoi club e per il calcio, il “controriformista” Chapman.Quinto dei sette figli del minatore John e della casalinga Emma, Herbert nasce il 19 gennaio 1878 nel sud dello Yorkshire (Inghilterra), al numero 17 di Kiveton Wales, frazione di Kiveton Park, piccolo centro minerario tra Sheffield e Worksop. Il padre, analfabeta, lavora nelle immaginabili condizioni figlie dell’epoca vittoriana. Come per il resto della comunità locale, il destino di Herbert sarebbe quello del genitore, e cioè a estrarre carbone, se non fosse che nel 1870 era stato promulgato l’Elementary Education Act, svolta storica per introdurre in Inghilterra e nel Galles l’istruzione elementare obbligatoria.Per abolire le lingue celtiche (gallese, irlandese e scozzese), lo Stato si assumeva per la prima volta la responsabilità nell’istruzione di tutti i bambini, così, compiuti i cinque anni, anche un figlio della “working class” come Herbert può andare a scuola. Un passaggio fondamentale che ne contiene un altro: là può praticare gli sport (è il caso di dirlo) più popolari: il calcio d’inverno e il cricket d’estate.L’attitudine al comando ne fa a undici anni il capitano e il segretario della squadretta di calcio, e insieme con i fratelli entra nella formazione juniores del paese. Ma al momento di guadagnarsi da vivere, scriverà giocando con le parole il suo più attento biografo, Stephen Studd, era il «coal (carbone) e non il goal» a dettar legge, altro che l’Education Act. Finita la scuola, comincia l’apprendistato in una “colliery” (miniera di carbon fossile), ma in seguito all’Education Act, in tutto il Paese si aprono corsi di formazione e Herbert segue quello di ingegneria mineraria allo Sheffield Technical College.Intanto porta avanti la sua passione per il pallone, amore condiviso con il più talentuoso fratello minore (di un anno) Harry, anche lui futuro professionista. Herb la consuma da modesta mezzala destra in club di Sheffield e dintorni, sempre a livello di non-league: Kiveton Park, Ashton North End, Stalybridge Rovers (nel Lancashire), Rochdale (dove debutta il 16 ottobre 1897, 1-1 a Horwich nel secondo turno di Coppa; due settimane dopo segna il suo primo gol con il club, contro l’Ashton North End), Grimsby Town (società in crisi nera dove apprende quanto sia deleterio far gestire la squadra ad un comitato anziché a un responsabile unico, che costerebbe almeno 150 sterline: troppe), Swindon Town, Sheppey United e Worksop Town. La svolta arriva con il passaggio al professionismo, al Northampton Town nel 1901. Da lì in poi, lasciato il lavoro di ingegnere minerario, cambia squadra ogni anno: Sheffield United (dopo averlo affrontato in FA Cup), Notts County (dal maggio 1903, per 300 sterline) e, dal marzo 1905, Tottenham Hotspur (dove è subito miglior marcatore degli Spurs: 11 reti nella Southern League 1905-1906 prima di regredire a riserva); ma soprattutto capisce cosa vuol fare “da grande”. Nel 1907 torna da giocatore-allenatore al Northampton Town, dove nel 1909 vince la Southern League. Ma come calciatore Herbert, a differenza di Harry (91 gol in 269 gare di campionato, 8 su 29 in FA Cup), non era granché, e di lui si ricordano più le scarpe giallognole che le prodezze in campo. Da manager, invece, carisma, sagacia tattica e fiuto nel riconoscere il talento ne faranno uno dei più grandi costruttori di squadre vincenti di sempre. Nel 1912 diventa il segretario al Leeds City (progenitore dell’attuale Leeds United, risorto sulle ceneri del fallito City nel 120, ndr). Le sue pressioni per far riammettere il club alla Football League hanno successo, ma durante la Prima Guerra Mondiale la società sarà coinvolta in «irregolarità finanziarie», relative ai pagamenti sottobanco effettuati ai giocatori “ospitati” nel periodo bellico, che portarono allo scioglimento della società nel 1919 e nella radiazione di alcuni dirigenti. Tra questi, Chapman, che in appello riesce ad evitare la squalifica vita, adducendo che all’epoca non aveva il controllo amministrativo diretto della società, lasciata per andare a dirigere una fabbrica di munizioni come coinvolgimento coatto nel conflitto. Sul piano tecnico, la sua gestione parla da sola: nonostante il sesto posto, l’affluenza media di Elland Road cresce dalle quasi 8000 unità del 1911-12 alle oltre 13,000 dell’anno seguente, il che consente al club di registrare un profitto di 400 sterline, una bella inversione di tendenza rispetto ai problemi finanziari della stagione precedente. «Chapman (...) ha fatto un gran lavoro per il club; si è guadagnato la fiducia di tutti», scrive ai tempi lo Yorkshire Post. L’anno in cui va più vicino alla promozione è il 1913-14 quando il City finisce quarto a sei punti dal Notts County, campione di seconda divisione, e a due dalla seconda, il Bradford Park Avenue; un piazzamento che, secondo il Yorkshire Post, «tenuto conto delle risorse del club, deve essere considerato soddisfacente, non solo perché la squadra non era mai arrivata così in alto ma anche perché incassi e affluenze hanno stracciato ogni record». Se ne va il 16 dicembre 1919 e diventa dirigente industriale in una ditta di Selby che lavora oli combustibili e carbone. Nel frattempo, continua la battaglia legale per i presunti abusi operati dalla Commissione della Football Association che, secondo Chapman, non aveva tenuto conto che lui non era in sede quando, si presumeva, quei pagamenti irregolari erano stati effettuati.Nel settembre 1920, scontata la squalifica, rientra nel calcio come segretario dell’Huddersfield Town, club del natio Yorkshire nel quale sarà manager a tempo pieno da marzo. Nei cinque anni successivi, il club di Leeds Road vivrà il suo periodo di maggior successo vincendo la FA Cup nel 1922 (1-0 al Preston North End in finale) e tre Football League (1924-26), l’ultima delle quali senza il grande capo. La prima, in particolare, merita di essere raccontata. All’ultima giornata il Cardiff è in testa con il minimo vantaggio sull’Huddersfield Town. I gallesi sono a un passo dallo storico trionfo e giocano a Birmingham, i Terriers in casa contro il Nottingham Forest. L’Huddersfield vince 3-0 mentre al St Andrew’s va in scena un finale-thrilling: il Cardiff conquista un rigore, ma nessuno se la sente di tirarlo; sul dischetto va allora Len Davies, che non ne ha mai battuto uno e che “ovviamente” sbaglia. I Blue Birds non sbloccano lo 0-0 e per la prima volta il campionato viene deciso dalla media di gol segnati, in quello che resterà il margine (0.024 gol/partita) più esiguo fra la prima e la seconda. Chapman, come i generali graditi a Napoleone, è anche fortunato.Quando, nel 1925, passa all’Arsenal, eredita una formazione di bassa o media classifica e a digiuno di vittorie. Con lui, diventerà il club più famoso d’Inghilterra.In giugno l’International Board modifica la regola del fuorigioco riducendo da tre a due il numero di giocatori fra l’attaccante e la linea di porta e il buon Herbert, che ha la testa dura ma anche furbizia da vendere, è lesto ad approfittarne. Già dal primo match l’interno Charlie Buchan, il giocatore più rappresentativo e suo primo acquisto (dal Sunderland), preme affinché il centromediano Jack Butler operi soltanto da difensore. Il tecnico nicchia, ma dopo la memorabile batosta (7-0) del 3 ottobre al St James’s Park contro il Newcastle United, si convince, anche perché Buchan minaccia di tornarsene al Sunderland. Nasce così il celeberrimo Chapman’s System, il modulo tattico che soppianterà l’ormai superato Metodo (WW) e si diffonderà come Sistema (o WM, dalla disposizione in campo: un 3-2-2-4 con i due mediani e le due mezzeali schierati a quadrilatero). L’idea di Buchan è semplice: spostare il centromediano (Butler e, subito dopo, l’ex mezzala Andy Neil) dalla posizione di movimento a centrocampo a quella fissa di “stopper” (da qui il nome al ruolo di marcatore della prima punta), e retrocedere un attaccante, per non perdere la superiorità numerica a centrocampo. Ne consegue che, a far scattare la cosiddetta “trappola del fuorigioco” non sono più i due terzini, ma il difensore centrale, che è il più arretrato, mentre i laterali si “allargano” verso l’esterno per prendere in consegna le ali.Dopo l’illusorio 4-0 del 5 ottobre ad Upton Park con il West Ham United (doppietta di Buchan), i risultati sono altalenanti. Chapman però non molla. Alla sua rivoluzionaria controriforma tattica aggiunge la firma di alcune delle maggiori stelle del calcio britannico, tra cui Cliff Bastin, David Jack (arrivato per 10.890 sterline in sostituzione di Buchan, ritiratosi, e primo a sfondare il muro delle cinque cifre), lo scozzese Alex James (9000) e il prossimo capitano, il terzino Eddie Hapgood; gente che assieme alle ali Joe Hulme e Cliff “Boy” Bastin, al nuovo stopper Herbie Roberts, agli altri terzini Tom Parker e George Male e al portiere Frank Moss farà dei biancorossi (indovinello facile facile: di chi è la trovata della manica bianca su maglia rossa?) una corazzata dalla formidabile prima linea (Hulme, Jack, Lambert, James e Bastin) che vincerà una FA Cup (nel 1930, 2-0 proprio all’Huddersfield Town; successo sfiorato nel ’32, quando a vincere per 2-1 sarà il Newcastle United) e quattro campionati; il primo nel 1931 (i londinesi sono la prima squadra del sud dell’Inghilterra a laurearsi campione) e gli altri consecutivi (1933-35) ma ancora una volta con Chapman a perdersi la tripletta. Il 3 gennaio 1934, si prende una polmonite nella ventosa Guildford, dove si è recato, nonostante il forte raffreddore e il divieto del medico, per seguire una partita della terza squadra. «Sarà una settimana che non vedo i ragazzi…» aveva detto, tre giorni dopo morirà. Il suo successore, il corpulento George Allison, ex inviato al seguito della squadra entrato poi nello staff tecnico, proseguirà nel solco tracciato dal maestro (la cui somiglianza indurrà numerosi errori nelle didascalie di svariate pubblicazioni, ndr) e metterà in bacheca, oltre ai titoli del ’34 e ’35, la FA Cup del ’36. In quella del ’27, invece, la sorte aveva riscosso da Chapman il credito elargitogli all’Huddersfield nel vittorioso campionato del ’24: a un quarto d’ora dal termine della finale con il Cardiff City, un rasoterra senza troppe pretese scagliato da Hugh Ferguson passò sotto il portiere dell’Arsenal, il gallese Daniel Lewis, ed entrò in porta. In pieno delirio da sconfitta, Chapman attribuirà la colpa della papera al... maglione nuovo di Lewis. Da allora, nella gestione Chapman, mai il portiere dei Gunners (a proposito: il copyright è suo) scenderà in campo senza prima aver fatto lavare, per infeltrirla, la nuova divisa da gioco.Una “innovazione” da niente, rispetto a quelle introdotte o solo sperimentate da Chapman, in campo e fuori: il tempo effettivo, i giudici sulla linea porta, i ritiri, le riunioni tattiche (compresi i discorsi pre-gara), le tournée in aereo, i palloni bianchi, le maglie numerate, i terreni sintetici, l’orologio dei 45’, i riflettori. Questi ultimi li vide andando a trovare un vecchio amico in Austria, dove assistette a una partita in notturna su un campo illuminato dai fari di 40 auto. «Ti rendi conto che se fossero piazzati su aste alte 40 piedi potremmo giocare come se fossimo in pieno giorno?». Non ci volle molto perché la stampa venisse convocata a un allenamento che l’Arsenal sostenne di sera, dopo che il padre-padrone del club aveva fatto disporre una decina di furgoncini con i fari accesi. In un’altra occasione, aveva fatto installare un orologio gigante che scandiva i 45 minuti così che i giocatori sapessero sempre quanto mancava alla fine. Ma la Football Association non gradì e l’orologio tornò a segnare le ore. Sempre in quel periodo nasceva l’abitudine tutta britannica di adornare con mazzi di fiori nei colori della squadra ospite il salotto di ricevimento dei dirigenti avversari, e pazienza se, dove non arrivava la natura, si provvedeva con petali dipinti. Sarà per quello che, dal 1936, all’ingresso della East Stand Marble Hall, dove campeggia il busto che lo ritrae, commissionato da 12 suoi amici a Jacob Epstein, sembra accennare un bonario sorriso. Anche nell’epoca del calcio finto, Chapman sarebbe stato primo in tutto, il migliore di tutti.
La Controriforma del WM
Nel 1925 l’International Board modificò la regola del fuorigioco e di fatto sancì la fine del Metodo (detto anche “Modulo a W” o WW), adottato in Italia attorno agli Anni 30. Quello schieramento prevedeva i terzini liberi da compiti di marcatura, i mediani a guardia delle ali e il centromediano nel duplice ruolo di costruttore e interdittore. Le mezzeali elaborano la manovra a centrocampo, le due ali e il centravanti sono punte pure. Era un gioco congeniale alla scuola italiana, più portata alla tecnica che alla corsa, e il Ct azzurro Vittorio Pozzo, con piccoli correttivi (il centromediano arretrato e rapidi contropiede), ne fece un “mezzo Sistema” che bissò nel 1938 il titolo mondiale del ’34. In quel periodo, Chapman introdusse in difesa l’uso della diagonale, per non restare mai con solo un difensore, che, una volta saltato, avrebbe lasciato campo libero agli avanti avversari. Fu, probabilmente, la prima rivoluzione calcistica e come conseguenze ebbe: l’allargamento della difesa verso l’esterno, i terzini (e non i mediani) in marcatura sulle ali e il centromediano stabilmente sul centravanti. Nel WM, mediani e mezzeali formano un quadrilatero a centrocampo (celeberrimo quello del Grande Torino: Grezar e Castigliano vertici bassi, Loik e V. Mazzola in appoggio alle punte), creando il gioco e liberando il centromediano da compiti di regia. Il modulo richiede una condizione atletica notevole e non a caso, in Europa, dopo gli inglesi, fu adottato dai tedeschi e dal “Wunderteam”, la meravigliosa nazionale austriaca assemblata da Hugo Meisl. Uno dei migliori Arsenal “sistemisti” si ammirò ad Highbury il 24 dicembre 1932, quando batté per 9-2 lo Sheffield United. Davanti al portiere Moss, tre difensori in linea, Male, Roberts e Hapgood, a centrocampo Hill e John alle spalle di Jack e di James, e le punte Hulme, Lambert e Bastin, secondo un didascalico 3-2-2-3. All’ultimo momento, Lambert sostituì il titolare Coleman al centro dell’attacco e realizzò cinque dei nove gol. Come per ogni modulo, erano i singoli a fare il Sistema.
di Christian Giordano, da http://footballpoetssociety.blogspot.com/

lunedì 6 giugno 2011

Highbury 1913-2006 R.I.P.

A distanza di 5 anni dall'addio ad Highbury, riproponiamo l'articolo dell'amico Roberto Puzzi, uscito nel 2006 su UKFP.Il 7 maggio 2006 è stata una giornata speciale, non solo per ogni tifoso dei Gunners, ma anche per ogni singolo appassionato di football. All'Arsenal Stadium, o Highbury come è conosciuto in tutto il mondo, si è chiusa un'epoca: 93 anni di gioie, sofferenze, successi e sconfitte che hanno reso questo teatro un posto magico, "a special place with special fans" come ha detto Lee Dixon nella cerimonia conclusiva dopo la partita con il Wigan Athletic. 38.419 posti purtroppo non erano sufficienti per il calcio moderno e allora per continuare a costruire qualcosa di importante l'Arsenal ha dovuto cercare una nuova casa, trovandola, per fortuna, a poche centinaia di metri da Highbury. Il nuovo stadio sorge infatti ad Ashburton Grove e sarà sicuramente più comfortevole e darà la possibilità a molti più tifosi (60.432 la capienza ufficiale) di vedere la propria squadra del cuore, ma quelle tribune, la Marble Halls, quel prato e quell'aria di football che si respirava entrando ad Highbury sono sicuro rimarranno per sempre nel mio cuore e nel cuore di tutti i tifosi dell'Arsenal che per anni hanno considerato questo stadio come la loro seconda casa (conosco gente che per decenni non si perdeva, anzi non si perde, una gara interna). Lo stadio fu inaugurato il 6 settembre del 1913 per la prima partita della stagione 1913/14 contro il Leicester Fosse e l'Arsenal si impose 2-1. Lo stadio fu progettato da Archibald Leitch su commissione di Henry Norris, che concentrò tutte le sue attenzioni sull’Arsenal a discapito del club di cui era presidente, il Fulham FC. La sua intenzione in realtà era quella di unire il Fulham e l’Arsenal per creare una vera e propria potenza del calcio londinese ma questa idea gli fu impedita dalla Football Association. Decise allora di dedicarsi maggiormente all’Arsenal (in cui vedeva maggiori possibilità di crescita) e nonostante parecchie ostruzioni sia dai tifosi, che non vedevono certo di buon occhio lo spostamento da Woolwich a nord di Londra, sia dai residenti della zona di Highbury e sia dai clubs del nord di Londra (in particolar modo il Tottenham FC) riuscì ad avere l’autorizzazione per costruire lo stadio nella zona di Highbury, dove allora c’erano i campi del College di St. John, da cui il primo nome della Clock End, ovvero College End. Curioso come nell’accordo fu stabilito che l’Arsenal non poteva giocare in casa il giorno di Natale e il venerdì di Pasqua, clausola poi tolta nel 1925. La tribuna principale era la East Stand mentre le terracing erano presenti in tutti gli altri settori. Negli anni 30 vennero costruite le famose ‘Art Deco’ West Stand (1932) e la nuova East Stand (1936), entrambe disegnate da Claude Ferrier. ‘Art Deco’ era un nuovo stile nato a Parigi a metà degli anni venti ed era originariamente “usato” per la costruzione di teatri e ristoranti; fu quindi una grossa novità quella di costruire tribune con questo design. La famosissima East Stand ha ospitato fino al luglio scorso gli uffici dell'Arsenal, gli spogliatoi e la Marble Halls, l'ingresso principale nel quale è stato messo il busto di Herbert Chapman, allenatore che ha decisamente lasciato il segno nella storia bianco-rossa. Tra le tante cose importanti fu proprio lui a chiedere ed ottenere che la stazione di Gillespie Road sulla Piccadilly Line cambiasse nome e diventasse Arsenal (l'unica squadra ad avere una stazione della metropolina con il proprio nome) e, oltre a portare tanti trofei nella bacheca dell'Arsenal, fu lui ad introdurre la numerazione sulle magliette dei calciatori. Solo nel 1989 invece la Clock End venne completamente rinnovata con l’aggiunta di 48 box mentre nel 1993 fu costruita la nuova North Bank su 2 anelli in sostituzione della mitica terrace che ha ospitato per anni il cuore del tifo gunners. Ad Highbury fu disputata la prima partita trasmessa dalla radio, la BBC Radio. Era il 22 gennaio del 1927, l'avversario di turno era lo Sheffield Utd e la partita si concluse con il punteggio di 1-1. Anche la prima partita di calcio trasmessa in televisione (anche se solo qualche spezzone) si svolse ad Highbury e fu un incontro disputato nel 1937 tra la prima squadra e le riserve. Highbury ha anche ospitato semifinali di FA Cup ed alcune partite della nazionale inglese ma è stato anche teatro di altri eventi importanti extra-calcistici. Tra questi ricordiamo il film "Arsenal - The Stadium Mistery" girato nel 1939 e il famoso incontro di pugilato del 1966 valevole per il titolo mondiale tra Cooper (che era presente il 7 maggio ad Highbury) e Muhammad Ali. Il resto è storia recente, ovvero l'ultima partita ufficiale dell'Arsenal disputata ad Highbury. Io, con mio padre, sono stato uno di quei 38459 fortunati a poter entrare, purtroppo per l'ultima volta, alla 'The Home of Football' (questo il nome con cui veniva chiamato Highbury e di cui campeggiava la scritta all'ingresso della North Bank in Gillespie Road, appena fuori dalla stazione Arsenal). Già dalle prime ore del mattino le strade intorno allo stadio erano popolate di tifosi, qualcuno arrivava addirittura in auto per riempire il baule di programmi (per poi rivenderli su ebay...) tant'è che l'Arsenal ha dovuto ristamparli nonostante ne avessero già prodotti 60.000. La giornata si è chiusa alla grande con la vittoria per 4-2 sul Wigan Athletic, una tripletta di Henry (curioso che la prima tripletta segnata ad Highbury fu realizzata da un certo Henry King mentre l’ultima da…… “King Henry”!) e la qualificazione ai turni preliminari di Champions League (grazie Hammers!). Poi la sfilata di tutte le vecchie glorie, dei trofei, l’assolo di Roger Deltrey cantante degli Who e “gooner through and through” che ha composto una canzone, “Highbury Highs”, dedicata appunto ad Highbury, il countdown finale con fuochi d'artificio e tanta, tanta malinconia perchè col passar dei minuti ci si rendeva conto che in quello stadio nessuno avrebbe più potuto metterci piede.Di cose da dire sulla storia di Highbury ce ne sarebbero veramente un’infinità, tant’è che sono usciti parecchi libri sull’argomento che consiglio vivamente agli interessati. L’ultimo in ordine di tempo è quello ufficiale di Brian Glanville con, tra l’altro, tutte le formazioni dell’Arsenal scese in campo nelle 2010 partite disputate in questo meraviglioso impianto e tante bellissime foto. Sono stati pubblicati anche “Highbury, The Story of Arsenal Stadium” di Bruce Smith (uscito in 2 edizioni, quella hardback prima della fine della scorsa stagione e quella paperback uscita dopo il 7 maggio aggiornata appunto con il finale di stagione), “Highbury, The Story of Arsenal in N5” di Jon Spurling e “Farewell to Highbury: the Arsenal Story” di Norman Fox, quest’ultimo più che altro una storia dell’Arsenal e non del suo stadio. Raccontano dettagliatamente ogni singolo cambiamento di Highbury ma anche e soprattutto storie curiose e parecchi aneddoti; tra gli altri, per esempio, la leggenda che dice di un cavallo murato nella costruzione della vecchia North Bank, o Laundry End com’era chiamata nei primi anni: nessun osso fu comunque poi trovato durante la ristrutturazione della North Bank stessa agli inizi degli anni novanta.Sicuramente il nuovo stadio nel corso degli anni riuscirà ad acquisire una propria identità ed attirerà tanti nuovi giovani tifosi. Probabilmente tra 93 anni l'Arsenal cambierà stadio e i suoi tifosi verseranno lacrime ricordando le tante emozioni e soddisfazioni (speriamo...) che hanno vissuto ad Ashburton Grove così come i tifosi dell'Arsenal nel 1913 si sentirono traditi dallo spostamento dalla zona sud-est alla zona nord di Londra. Quello che personalmente non dimenticherò mai è la fortuna di essere stato in quello che per me era, è e sarà per sempre il tempio del calcio, la ragione principale che mi ha fatto innamorare del calcio inglese e in particolar modo, ovviamente, dell'Arsenal.
di Roberto Puzzi, da UKFP n° 17 - dicembre 2006

sabato 28 maggio 2011

1980 Un Juventus-Arsenal da ricordare..

“Ed ora per la Juventus è notta fonda” così Nando Martellini mercoledì 9 aprile del 1980 sanciva il passaggio del turno dell’Arsenal nella partita di ritorno della semifinale di Coppa delle Coppe tra la Juventus e gli inglesi. Una partita con gli italiani a giocare con il freno a mano tirato e l’Arsenal che a sprazzi cercava di segnare quel gol che gli sarebbe valsa la finale, fino a due minuti dalla fine, dopo un paio di rinvii di Bettega dalla propria area (e questo fa capire abbastanza della tattica attuata quella sera dalla Vecchia Signora), un’incursione di Graham Rix sulla fascia sinistra, il cross dal fondo ed un sorprendente e solitario Paul Vaessen sul secondo palo segnava indisturbato per la gioia dei numerosi tifosi inglesi presenti quella sera al Comunale di Torino. Liam Brady, in procinto di passare proprio alla squadra torinese a fine stagione, disse ” La nostra vittoria è meritata. La Juventus è stata troppo in difesa ha giocato manifestamente per lo 0-0, gli andava bene il pareggio e per questo che hanno addormentato il gioco. E dire che erano la squadra di casa”.La partita d’andata si era conclusa con un pareggio (1-1), favorevole alla Juventus ma dove non erano mancate le polemiche durante e soprattutto dopo la partita; un fallaccio di Bettega su David O’Leary al ‘23 del primo tempo che lo costrinse a lasciare il campo per Pat Rice. Il gol di Cabrini su rigore all’11 portava in vantaggio i Torinesi ed un autogol dello stesso Bettega rilanciava l’Arsenal nel finale, tante le occasioni per i Gunners, in special modo un grande Liam Brady autore di passaggi smarcanti per gli attaccanti inglesi Staplenton e Rix che non riuscirono a realizzare. Gli inglesi giocarono a Londra con questa formazione: Jennings, Devine, Walford (Vaessen), Talbot, O’Leary (Rice), Young, Brady, Sunderland, Staplenton, Price e Rix. Il giorno dopo i tabloid britannici riversavano tutto il loro astio sulle prime pagine, attaccando gli italiani ed in primis Roberto Bottega definito prima del match il più inglese degli italiani. Il Daily Mail riportava un “horror-tackle” ed i giornali domenicali, tra cui il News of the World, prevedevano a ragione: “A Torino sarà l’inferno”, solo il più titolato Times pensò di analizzare il match in maniera meno pesante e scrisse: “Le speranze dell’Arsenal cominciano a vacillare” .Secondo il “Daily Mail” la cronaca del fattaccio degli italiani attirò l’attenzione ancor più della decapitazione della Principessa Saudita Misha da parte del boia di Re Khaled, condannata per adulterio (in quei giorni questa notizia teneva banco su tutti i giornali del Regno Unito perchè ITV il canale privato inglese mandò in onda la sera del match di coppa una ricostruzione) e dopo la furia degli Emirati l’allora Ministro degli Esteri Britannico Carrington dovette chiedere personalmente scusa. Il Tackle di Bettega era stato veramente vergognoso ed incomprensibile, non ammetteva scuse e O’Leary, dopo essersi tolto i frammenti dei tacchetti dello scarpino dell’italiano, si era dovuto imbottire di antidolorifici ed antibiotici per esser presente nel match del sabato dopo contro il Liverpool dove, tra l’altro, secondo la stampa italiana giocò fin troppo bene.. La preoccupazione maggiore era per la partita di ritorno, ma non solo. Da lì a due mesi a Torino per i Campionati Europei si doveva giocare proprio Italia-Inghilterra, la “guerra era imminente” ed anche Ron Greenwood si disse preoccupato per eventuali incidenti che puntualmente ci furono in entrambe le gare...

venerdì 7 marzo 2008

1987 Football League Cup Final

5 april 1987, Final Littlewoods Cup, Wembley Stadium
ARSENAL-LIVERPOOL= 2-1
Goals. 23’Rush(L), 30’Nicholas, 83’Nicholas,
Arsenal: Lukic, Anderson, Sansom, Williams, O’Leary, Adams, Rocastle, Davis, Quinn (Groves), Nicholas, Hayes (Thomas). Manager George Graham
Liverpool: Grobbelaar, Gillespie, Venison, Spackman, Whelan, Hansen, Walsh (73’ Dalglish), Johnston, Rush, Molby, McMahon (87’ Wark). Manager Kenny Dalglish
Attendance: 96.000
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