La differenza fra sogno e realtà. Fra vita pubblica e vita privata. Essere famosi, essere ricchi, essere calciatori, piacerebbe a molti. Per alcuni bambini è un vero e proprio sogno, per alcuni adulti (che non ce l'hanno fatta) un rimpianto. Nella vita del calciatore però non ci sono solo i titoli o le partite giocate a San Siro o al Bernabeu. Non ci si limita mai ai quei 90 minuti. Dietro c'è di più, dietro a volte c'è anche sofferenza. Perfino se si è affermati, perfino se si è campioni del mondo. Quella attuale sarà l'ultima stagione di Per Mertesacker, poi, a maggio si ritirerà. In carriera ha vinto molto (compreso il mondiale con la Germania nel 2014), ma spesso si è sentito schiacciato dalla pressione. "So che siamo privilegiati – ha detto a Spiegel –, ma si arriva al punto in cui si realizza che il tutto è solo un peso. Fisico e mentale". Mertesacker (104 presenze in nazionale, all'Arsenal dal 2011) racconta che prima di ogni fischio d'inizio ha attacchi di diarrea e conati di vomito: "Come se, parlando simbolicamente, tutto quel che viene dopo il fischio d'inizio facesse vomitare". Nel mondo del calcio c'è quindi anche chi la pressione non la sopporta bene. "I giocatori vengono valutati solo per le loro prestazioni. Non giochi più per divertiti: devi rendere, sempre, senza se e senza ma". Addirittura secondo Mertesacker ci sarebbe una correlazione fra stress e infortuni: "Spesso secondo me gli infortuni sono mentali. Ogni volta che arrivavo al limite mi facevo male. Diciamo che è un po' come se il corpo aiutasse l'anima". In questa stagione Mertesacker non sta trovando molto spazio (11 presenze fra tutte le competizioni), forse anche perché mentalmente ha già staccato la spina: "Sono arrivato al limite. Mi dicono tutti che essendo il mio ultimo anno devo dare il massimo, ma io non ce la faccio più. Preferisco stare in panchina, o, meglio ancora, in tribuna. Con la partita d'addio sarò finalmente libero".
La pressione più grande l'ha vissuta a 21 anni, quando, nel 2006, la sua Germania ospitava i mondiali. I tedeschi parlavano di "Sommermärchen" (cioè di "favola estiva"), per lui fu invece un periodo particolarmente difficile. Al punto che si sentì sollevato una volta persa la semifinale con l'Italia: “Ovviamente ero dispiaciuto per l'eliminazione, ma più che altro ero sollevato. Me lo ricordo ancora come fosse oggi. Pensavo solo: è tutto finito, è tutto finito. Finalmente è tutto finito". Sia chiaro: non tutti i calciatori vivono male con la pressione, ma quello di Mertesacker non è sicuramente un caso isolato. Non per tutti è realmente un sogno. Lothar Matthäus, però, si è detto sorpreso dalle dichiarazioni del connazionale: "Io mi deprimevo quando ero infortunato". La reazione alla pressione è quindi soggettiva. Mertesacker l'ha sofferta e dato che dalla prossima stagione sarà responsabile dell'accademia dell'Arsenal, ha intenzione di combattere il sistema. Vuole aiutare i ragazzi a vivere lo sport più serenamente: "Non devono puntare tutto sul calcio, non devono trascurare la scuola. Solo una piccola percentuale ce la fa". È la realtà, spesso ben diversa dal sogno.
di Elmar Bergonzini, da http://www.gazzetta.it
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