C’è un calcio inglese prima di Arsène Wenger e ce n’è uno dopo il suo arrivo: nei giorni in cui ricorrono i 20 anni esatti dallo sbarco all’Arsenal, è il giudizio storico più appropriato. Quando il tecnico francese fu ingaggiato dal club londinese il 22 settembre 1996, in Premier avevano lavorato come manager stranieri solo il ceco Venglos, nel 199091 all’Aston Villa, e per 2 mesi Ardiles al Tottenham nel 1994, mentre appena 2 mesi prima era stato promosso l’olandese Gullit nel doppio ruolo di giocatore/allenatore. L’Inghilterra, reduce da un decennio difficile, con le squadre bandite dall’Europa dal 1985 al 1990 dopo la tragedia dell’Heysel, era chiusa come una fortezza. In quell’estate 1996 era profonda la frustrazione per l’Europeo organizzato in casa e finito male, con la nazionale di Gascoigne superata in semifinale ai rigori dalla Germania. Serviva una scossa. Arrivò grazie a un uomo semisconosciuto, finito in Giappone, al Nagoya, dove forse avrebbe messo le tende se l’amico David Dein, conosciuto a Londra nel 1989, non gli avesse offerto la guida dell’Arsenal: "Mi stavo adattando allo stile di vita di un Paese fantastico come il Giappone, ma troppo lontano dalla mia famiglia e dalle mie radici. Quando Dein, all’epoca vicepresidente dell’Arsenal mi contattò, ero pronto a tornare in Europa", disse il francese.
RIVOLUZIONE — L’avvento di Wenger precede di pochi mesi il successo di Blair alle elezioni del maggio 1997, in cui il leader laburista ottiene una grande vittoria elettorale, riportando il partito laburista al governo del Regno Unito dopo 18 anni. Le parabole di Wenger e di Blair viaggiano per 10 anni parallele. Blair, che deve oggi farsi perdonare le bugie con le quali trascinò la Gran Bretagna nella guerra in Iraq, ha avuto l’indubbio merito di aprire la nazione al mondo, avviando Londra verso quella trasformazione che ha fatto diventare questa capitale la metropoli europea più internazionale. Wenger ha compiuto la stessa rivoluzione: con il calcio del suo Arsenal ha rotto 130 anni di chiusura totale, spalancando i portoni del football a tecnici di altri Paesi. Oggi in Premier i manager stranieri sono la netta maggioranza appena 4 gli inglesi, Alan Pardew, Sean Dyche, Eddie Howe e Mike Phelan e questo campionato è il più seguito del pianeta: innegabile la mano di Wenger in questa trasformazione.
I PRIMI 10 ANNI — Vent’anni dopo, si sprecano gli aggettivi per definire il francese. Romantico, rivoluzionario, visionario, testardo, reliquia. Forse il vecchio Arsène è tutto e il contrario di tutto. Accolto con un titolo emblematico, "Arsene who?", Wenger ribaltò l’Arsenal, trasformando un simbolo del football noioso nella squadra più spettacolare d’Europa. La guida spirituale in campo fu il connazionale Vieira e presto sarebbe arrivato un altro francese destinato ad entrare nella storia del club: Thierry Henry. Due talenti incompresi in Italia, il primo al Milan, il secondo alla Juve: peccati mortali commessi dal nostro calcio. L’Arsenal diventò una macchina di spettacolo e di successi: dal 1996 al 2006, 3 Premier (fu il primo tecnico non britannico a vincerla), 4 FA Cup, 4 Community Shield, l’imbattibilità in Premier nel 200304 e la finale di Champions persa in 10 nel 2006 gli allori di quel periodo. La rivoluzione wengeriana fu totale.
SECONDO TEMPO — Il secondo decennio è stato all’insegna del riflusso. Lo sbarco di miliardari russi, arabi, statunitensi e thailandesi ha ridimensionato i Gunners. Dal 2006 a oggi, 2 Fa Cup e 2 Community Shield. Un passo indietro a livello di trofei, ma il calcio di Wenger, immutabile, ha continuato a divertire, anche se oggi, di fronte alla concorrenza delle altre squadre, la maggioranza dei tifosi invoca il cambiamento. Le 18 qualificazioni di fila in Champions, dal 2000 a oggi (2° assoluto per presenze dietro a Ferguson), dimostrano che il club è riuscito a tenere alto il profilo internazionale e ancora oggi, grazie ai 60 mila posti dell’Emirates, l’Arsenal ha un enorme seguito di fan stranieri.
da http://www.gazzetta.it/